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Attualità di M. VIGHI del 15/01/2010 13:49:01
A volte ritornano

 

Dall’Amleto a Delitto e Castigo, da Quattro mosche di velluto grigio a So cosa hai fatto, la letteratura e le sue rappresentazioni in forma d’arte hanno sempre celebrato la lenta agonia di chi ha commesso un delitto, o anche solo ne è stato spettatore senza denunciarlo o far qualcosa per impedirlo. La psicologia che si cela dietro all’inquietudine dei personaggi di turno presenta tante facce diverse, che abbracciano stati d’animo che possono andare dall’angoscia e il rimorso con tanto di anelito alla redenzione o all’espiazione della colpa, come nel romanzo di Dostoevskji, al terrore di essere scoperti e venire in qualche modo puniti.
Ciò che accomuna tutte le diverse manifestazioni di turbamento di chi compie il delitto (o di chi lo commissiona, o di chi ne è spettatore passivo magari traendone vantaggio) è l’impossibilità di proseguire il cammino senza che il passato gli si pari dinnanzi ad ogni passo, sia esso per rimorso, o per la sola consapevolezza che se il trascorso dovesse improvvisamente rivivere, tutti i frutti del presente scaturiti dall’infamia perpetrata verrebbero subitaneamente a marcire.

Cosa si cela dietro le parole del presidente della seconda squadra di Milano, quando dichiara «Calciopoli è una storia definitivamente archiviata»?
Certamente non la verità, in senso stretto di cronaca. Il processo di Napoli a Luciano Moggi è ancora in corso, ed il verdetto di colpevolezza emesso per Giraudo al primo grado di giudizio è pronto per essere impugnato per il ricorso in appello. Non basta: l’ex designatore arbitrale Paolo Bergamo ha promesso battaglia, così l’arbitro De Santis e molti altri. La partita è tutto meno che chiusa.
Le parole del petroliere, lontane dallo stato dei fatti, sono solo lo specchio dei suoi desideri e delle sue preoccupazioni. Perché finché il cadavere non verrà definitivamente occultato, e il caso chiuso per sempre, l’ombra del passato tenderà sempre ad oscurare i successi del presente. La squadra nerazzurra, vittima di vent’anni di inferiorità sul campo, ha rialzato la cresta solo con Farsopoli. Non sono state le campagne acquisti faraoniche ad invertire la tendenza perdente. Non i pianti e le fidanzate di Ronaldo, non le invasioni di campo di Simoni, non i retropassaggi di Gresko, non le veroniche di Vampeta, non le ville sul lago di Como di Ince. L’unico evento che ha permesso ai meneghini di tornare al successo è stato il processo farsesco dell’estate del 2006. E finchè tutto non sarà per sempre sepolto nelle memorie, le cicatrici degli scudetti che i giocatori si sono cuciti sul petto non potranno mai scomparire.

Fosse solo questo, parleremmo in fondo ancora di sport.
Ma in Farsopoli si è consumato l’omicidio della Juventus, e mandanti, esecutori e spettatori interessati e conniventi del delitto, che fu imperfetto, dovrebbero sapere, come nelle migliori tradizioni della letteratura e delle forme d’arte che trattano la morte non naturale, che gli spiriti non hanno pace fino a quando la verità non viene alla luce.
Se Moggi desinava e telefonava ai designatori, cosa consentita dal c.g.s ai tempi cui risalgono le accuse, Giacinto Facchetti dormiva ospite in casa loro.
Se Moggi faceva da tramite per ottenere da casa Fiat auto Maserati, peraltro regolarmente pagate usufruendo di normali sconti come da accordi commerciali, Facchetti regalava gli elettrostimolatori.
Se al processo di Napoli contro Moggi le dichiarazioni dei teste portati dall’accusa si fondano su sensazioni e sui “si dice”, ci sono guardalinee (Coppola) che si sono presentati in procura per denunciare pressioni da parte di dirigenti dell’Inter (ma le loro deposizioni non sono state ritenute importanti ??!!), ed arbitri (Nucini) che dichiarano candidamente un costante rapporto con Facchetti.
Se gli avvocati difensori di Moggi richiedono la trascrizione di tutte le telefonate perché a loro dire l’intero quadro probatorio scagionerebbe Lucianone, Paolo Bergamo, De Sanctis e altri sostengono di aver ricevuto telefonate da Facchetti, ma queste singolarmente non risulterebbero sui tabulati.
Se assoluzione perché il fatto non sussiste è giunta nel processo per doping amministrativo a carico della Juventus e dei suoi amministratori Moggi, Giraudo e Bettega, pesano sull’inter forti ombre sui bilanci societari, sanati da improbabili plusvalenze, ricapitalizzazioni e vendite del marchio che potrebbero essere non così limpide.
Se l’utilizzo delle sim straniere a carico di Luciano Moggi sono solo allo stato di teoria, la falsificazione del passaporto di Recoba è un reato accertato dalla giustizia.
Se le esternazioni di Moggi sul fatto che da molto tempo dubitasse di essere intercettato telefonicamente (ed ipotizzi che ciò potesse avvenire a vantaggio della concorrenza) non sono ancora state provate, la violazione della privacy di Christian Vieri è ben più di un teorema già provato, mentre ancora fluttuano nell’aria, minacciose come spade di Damocle, le dichiarazioni di Tavaroli e Cipriani nel processo Telecom, nelle quali si sostiene che la Security dell’azienda telefonica un tempo monopolistica in Italia intercettasse ed emettesse fatture non all’oscuro di Tronchetti Provera, quando non direttamente intestate alla società calcistica di via Turati.

E allora, forse, le parole del presidente nerazzurro sono solo un misto di timore e augurio personale, perché Farsopoli vorrebbe, ma non è, definitivamente archiviata. Ed i fantasmi a volte ritornano, e possono fare male.

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