Uno strano animale si aggira per l'Italia: è il concetto di
intolleranza.
Per gli "influencers" del Bel Paese, che seguono mode e termini angloamericani, l'intolleranza è una parola dal significato fluido, multiforme, cangiante, unto. Si adatta, si trasforma, spesso nel suo contrario; si nasconde e poi riappare fragorosa, spesso sotto forma, incredibile a dirsi, di intolleranza.
Esempi, anche banali, se ne possono fare a centinaia: nel calcio i napoletani che pretendono rispetto verso gli attacchi razzisti (???) che subirebbero continuamente non si vergognano certo ad insultare, a minacciare, ad assalire i tifosi avversari, soprattutto juventini.
Non è una "fake news", per esempio, la piazzetta Juve Merda a Napoli, tollerata dal sindaco intollerante verso chi osa toccare Napoli, condita di insulti omofobi e sessisti, tanto sudici quanto tristemente patetici e datati, inneggianti persino all'omicidio, perché si sa: nella terra del folklore, vittima di tutto il razzismo dello Stivale, è normale "uccidere la moglie se juventina", oppure "meglio avere un figlio frocio e una moglie zoccola che essere juventini".
Per non parlare del fatto che Matuidi, mediano juventino, possa essere fatto bersaglio, senza pagarne dazio, di tutti quegli insulti razzisti per i quali lo stadio di San Siro verrà chiuso per ben due turni, in quanto profferiti contro lo stopper napoletano Koulibaly.
E se inneggiare al Vesuvio costa almeno una giornata a porte chiuse, insultare da 33 anni i martiri dell'Heysel, o Gaetano Scirea, o Fortunato, o Neri e Ferramosca, non costa manco una misera multa. Strano paese questo, per il quale esistono mille diverse forme di intolleranza e mille modi diversi per punirle, ma anche nessun modo se si tratta di Juve. Strano paese questo, che scimmiotta il buffonesco circolo delle VIP molestate d'oltreoceano, il cosiddetto #metoo, un club esclusivo nel quale può entrare solo la molestata famosa o la sconosciuta, ma molestata dal famoso... Un club che fa seguito alle lotte anti sessismo dell'ex presidente della Camera, che spese migliaia di euro per riscrivere al femminile parole e aggettivi che si usavano solo al maschile, talvolta violentando (ops...) la lingua con le orride "presidenta", "sindaca" o "avvocata". Strani club con strani iscritti, o iscritte..., ma club al femminile come si scriverebbe? Clubba? Dicevo: strane iscritte che fanno lotte, che si indignano per cazzate di utilità prossima allo zero, ma che delle battaglie vere delle donne di tutti i giorni, dei diritti minimi e basilari del vivere comune, se ne sbattono altamente, perché non fanno #metoo, perché non portano ospitate nei salotti televisivi o la conduzione di famosi e importanti talent show.
Un paese che si indigna per tutto, su tutto, un paese che nel calcio sta facendo la sua bella, ma faziosa, lotta contro l'intolleranza razziale, se ne strafrega proprio, ad oggi 02 Gennaio 2019, di protestare, di chiedere l'annullamento della gara o lo spostamento in altra sede, in altro e ben più civile paese, della finale della Supercoppa Italiana del 16 Gennaio prossimo, che si terrà a Gedda in Arabia Saudita. Perché, come spero saprete, in quell'occasione l'illuminato e progressista paese arabo, spesso accostato anche al finanziamento del terrorismo internazionale, ha deciso, gaudio e giubilo, che le donne potranno sì assistere alla partita, e non sarebbe una novità, ma ancora ben imbacuccate nei cenci locali e segregate dagli uomini, come vuole la sharia di matrice wahhabita. Un movimento che mette in croce i vitelloni italiani che apostrofano una bella figliola che incrociano per strada non scrive nulla, a meno che non mi sia perso qualcosa, in merito a questa evidente segregazione sessista infiocchettata con presunti precetti religiosi. Una teocrazia fra le più oscurantiste del globo dirà a tante donne italiane, occidentali, di velarsi e di sedersi ben distanti dal resto dei tifosi uomini.
Ecco: per questo sì
che dovremmo rifiutarci di giocare là, altro che per il caso Kashoggi, come era stato paventato di recente. Anche se è pur vero che andiamo noi a casa loro, è anche altrettanto vero che
esportiamo, perché da loro fortemente richiesto e finanziato, un nostro "prodotto", la nostra "cultura" che a livello sportivo è inclusione, quindi anche e ovviamente per le donne, sia in campo che sugli spalti. Si chiudono gli stadi italiani per insulti razzisti e poi portiamo le nostre concittadine in paesi culturalmente sottosviluppati nelle cui strutture dovranno essere segregate.
Dicevo: strano paese nel quale si aggira uno strano animale...
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