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          GLI ARTICOLI DI GLMDJ
Editoriale di S. BIANCHI del 25/03/2019 08:45:21
Scusa, Trap!

 

Scusa Trap! Solo Marco, che ha inserito un post nel forum, ha ricordato i tuoi splendidi ottant’anni su GLMDJ. Poco, rispetto a quanto avresti meritato per tutto quanto hai significato per i nostri colori bianconeri: cerco oggi di emendare la mia latitanza.

Una vita da mediano (anche se Ligabue, da cui traggo la citazione, è interista) con grandi successi, poi la carriera da allenatore: dieci vittorie nei campionati nazionali in Italia, Germania, Austria e Portogallo. Uno scudo in quattro diversi Paesi, come Ivić, Happel… e altri due innominabili. Poco mancò che vincessi anche lo Scudetto 1998/99 con quelli di Fiesole Bassa. Tutti e ovunque ti hanno amato e apprezzato, a parte un certo Strunz, che faceva finta di essere infortunato ma poi lo beccavano mentre giocava a tennis, meritandosi quella reprimenda in conferenza stampa, quando facesti finta di equivocare tra il cognome di quel fancazzista e la configurazione spaziale, cilindrica degli escrementi solidi.

Certamente sei stato “l’allenatore più rappresentativo del calcio italiano del secondo dopoguerra”, per dirla con Lo Presti, anche se France Football ti mette soltanto al tredicesimo posto tra i cinquanta migliori di sempre. La zona mista che hai messo in pratica, all’estero spesso è definita come “gioco all’italiana”, e la cosa crea confusione col catenaccio, in auge in Italia fino a Rocco e Helenio Herrera. La zona mista è il modo di giocare che con Radice hai messo in campo dalla prima metà degli anni settanta: il Torino ci vinse lo scudetto 1975/76, la Juventus, col nuovo modulo tornò grande in Italia e divenne finalmente enorme in Europa, nel più duraturo ciclo di vittorie nella storia del calcio italiano. In dieci anni la tua Juventus ha conquistato sei scudetti (da quello del 1976/77), due Coppe Italia, Coppa UEFA, la Coppa delle Coppe, la Coppa dei Campioni, la Supercoppa Europea e la Coppa Intercontinentale. Poco si aggiunge dal 1991 al 1994, quando fosti richiamato per la normalizzazione necessaria dopo lo scempio montezemolo-maifrediano, conquistando comunque un’altra Coppa Uefa.

Non faccio certo un grande sforzo nel riconoscerti l’abilità d’impostare la gara e a cambiare le cose in corsa… prima del golletto del vantaggio, dopo il quale, spesso ti precipitavi a far entrare in campo il Prandelli di turno al posto di un attaccante di ruolo. Grande anche come motivatore, il tuo “fischio a due dita” è stato in quegli anni la mia musica preferita, più dei Rolling Stones e dei Led Zeppelin. Ti devo confessare che, nonostante strenui tentativi, non mi è mai riuscito d’imparare a fischiare come te.

Uno dei tormentoni più in auge nel mondo calcistico è il considerarti un maledetto difensivista. Quando lo dicono a me, ti “difendo”, facendo parlare i tabellini delle partite. Non gli parlo, a questi miscredenti infedeli, di schemi e disposizioni tattiche, proprio no. Mi limito a ricordare loro chi mandavi a vincere: a Basilea c’erano Tardelli, Vignola, Platini, Rossi e Boniek; a Bruxelles e in Supercoppa Europea c’erano Briaschi, Tardelli, Rossi, Platini e Boniek; a Tokio c’erano Mauro, Serena, Platini e Laudrup. E sempre con un certo Cabrini a spingere, da dietro. In “Non dire gatto”, affermi il concetto con la chiarezza che talvolta ti apparteneva: “Come si può affermare in buona fede che la mia Juve, con Platini, Boniek, Bettega e Paolo Rossi in attacco, Tardelli e Cabrini a tutto campo e un libero moderno come Scirea fosse una squadra poco offensiva?”.

La chiarezza: qualche volta il concetto che esprimevi non era immediatamente comprensibile, t’incasinavi durante le interviste e qualche volta hai storpiato modi di dire collaudati che sono diventati “minoritari” rispetto alla tua invenzione linguistica, basti pensare al mitico “Non dire gatto”. Ma non lavoro per l’Accademia della Crusca e dei tuoi neologismi me ne importa il giusto. Se può interessarti, ti posso dire, in tutta sincerità, che ti ammiro per la tua semplicità, la pulizia morale e per le vittorie che ci hai regalato. Anche se, qualche volta, avresti potuto farci soffrire un po’ meno, dopo il vantaggio, con un guarnire maggiormente la difesa che significava lasciare più campo agli avversari. Anche se ad Atene non hai conquistato quella coppaccia che sembrava già nostra, in quella trasferta di cui il ricordo più grosso che ho, a parte l’acropoli, è stato il pianto ininterrotto di quella ragazzina sconosciuta che si è aggrappata al mio braccio sinistro dal gol di Magath alla fine, inzuppandomi la camicia per ottantuno minuti. Non fosse stato già abbastanza caldo.

Recentemente, hai detto: “Ho vissuto ogni giorno cercando di dare sempre il massimo. Di errori ne ho commessi più di quanti possiate immaginare. E quando mi sono voltato indietro non è stato per pentirmi o per provare rimorso. Mi sono girato per imparare dai miei errori cercando di migliorarmi giorno dopo giorno” . Chi può avere pensieri come questo? Solo un Grande Uomo. Ciao Trap, auguri in ritardo per i tuoi ottanta: ti voglio bene.

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