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Attualità di S. BIANCHI del 31/05/2019 08:20:08
Conte all’Inter!

 

Ci sono ancora le Bandiere nel calcio, anche se in numero progressivamente minore. Sono quegli atleti che, da subito o da un certo punto della loro carriera, hanno deciso di legarsi, anche professionalmente, a una squadra, campioni o gregari che resistono al richiamo del denaro, o di altre lusinghe, lontano dallo stadio del cuore. Parlo dei Del Piero, dei Totti, degli Iniesta (il Vissel Kobe non vale, come non vale il Sydney FC per Del Piero), ma anche dei Galia e dei Padoin, che mai avrebbero voluto lasciare la casacca bianconera.

Le Bandiere suscitano amore e identificazione in noi tifosi, che qualche volta (magari questo vale per i più giovani) addirittura si pettinano e si vestono come i loro idoli, indossandone le maglie nella partitella tra amici e magari anche allo stadio, un vezzo, quest’’ultimo, abbastanza in uso anche per vecchietti come me. Le Bandiere rinunciano a denaro, fama e vittorie per amore di una maglia (forse anche di una donna segreta): Riva restò a Cagliari e Albertosi ne avrebbe fatto volentieri a meno, quando la Juve li avrebbe presi entrambi. Rombo di Tuono disse no, e non se ne fece di nulla. Le Bandiere possono rappresentare un capitale inutilizzato per presidenti che, a furor di popolo, non possono venderle, ma al più liberarsene a fine contratto, quando, magari, sono diventati un po’ ingombranti. Per esempio, per un presidente che vorrebbe apparire di più, messo in ombra com’è dal suo campionissimo, o quando un allenatore volesse impostare la squadra diversamente, ma è costretto al vecchio dalla presenza dell’intoccabile Bandiera.

Antonio Conte, “il nostro Capitano”, è stato una delle nostre Bandiere per tredici anni: lo abbiamo amato per il coraggio, la dedizione, la tenacia e la combattività che metteva in campo contro l’ultima in classifica, come contro la seconda della graduatoria (la prima, solitamente, eravamo noi). Al Museum, cinque Scudetti, una Champions League, una Coppa UEFA e altri sei trofei ufficiali portano anche la sua firma. Tornato come allenatore, ha vinto tre Scudetti consecutivi e due Supercoppe di Lega, dimostrando intelligenza e duttilità tattica e trasmettendo il suo “animus pugnandi” alla squadra.

Nel luglio 2014, la “parabola” del ristorante da cento euro, non frequentabile con dieci euro in tasca, e probabilmente qualcos’altro, determinò la rottura con Andrea Agnelli, per cui non è dato sapere se dissidio sia così importante da far resistere il Presidente alle supposte pressioni di Nedved e Paratici, miranti a riassicurarsi l’allenatore salentino. Ora, il fatto è che Antonio, ufficialmente, sarà l’allenatore dell’Inter nella prossima stagione. A mio modo di vedere, una Bandiera come lui, pur nel libero mercato del professionismo, non avrebbe dovuto accettare. Continuerò ad amarlo per aver gridato il suo nome allo stadio, per l’anima che metteva sempre in campo, per quei rari gol, talvolta acrobatici, che riusciva a firmare e per… quella traversa a Manchester. Lo amerò sempre per i trofei che mi ha fatto vincere, come lo amerò sempre per il modo entusiasmante di come vinceva le gare da allenatore, annichilendo gli avversari e innamorando lo Stadium… nulla a che vedere con le stitiche imprese di Allegri.

Gli auguro, per il periodo del suo soggiorno interista, felicità, salute, denaro e figa in abbondanza (non so cosa oltre augurargli, di buono, in più), ma spero che all’Inter non vinca nemmeno un trofeo amichevole, d’agosto, in Anatolia. Vederlo col logo della banda degli onesti sulla giacca, mi fa un po’ specie e devo dirlo, anche se a lui, evidentemente non importerà un bel nulla. Vedere seduto il “mio” Antonio Conte sulla panchina interista, è come se avessi fatto l’amore con Julia Roberts per qualche anno, ci si fosse lasciati, e dopo tre anni sapere che lei sta con un Pistocchi. Caspita, se ci rimani male! Mai voi, la pensate come me, o no?


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