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Editoriale di S. BIANCHI del 31/07/2019 10:42:10
Conte ne fa cinquanta

 

Nel 1991, alla Juventus sono alla ricerca di un mediano incontrista, inossidabile, di gran corsa, che sappia impostare: sostituire il Furia-furin-furetto di Caminiti non sembra cosa facile. Antonio Conte da Lecce ci riesce, anche se le stagioni di Trapattoni non lo valorizzano appieno, e non sono granché nemmeno gli inizi con Lippi, che lo schiera in molti ruoli, non sempre graditi al leccese. Conte, uno che non le manda a dire, quella volta si lamentò con un giornalista, dicendo sostanzialmente che, sì, per vincere si vinceva, ma che non si divertiva granché. Il giorno dopo trovò un post-it sull’armadietto, con scritto soltanto: “Se vuoi divertirti, vai all’Una Park”. Come fosse stato firmato: solo Angelo di Livio poteva scrivere così, spiritoso e sgrammaticato.

Venne anche per Conte il tempo di divertirsi, a forza di vincere, alle direttive di chi a Lucca chiama ancora, con disprezzo, “il Bagnino”: scudetti a ripetizione e la Champions con l’Ajax. Per responsabilizzarlo e gratificarlo per la disponibilità a non giocare sempre nel proprio ruolo, quando Vialli andò via, Lippi gli consegnò la fascia da capitano: con quella al braccio, il biondo non si lamentò più. La sua carriera non fu tutta rose e fiori: abituato a non tirarsi mai indietro, s’immola tre volte alla Dea maligna dell’infortunio, nella finale di Roma con l’Ajax, e due volte in Nazionale. Ritorna sempre quel mostro di centrocampista tuttofare dotato di polmoni supplementari, combattendo anche per la seconda Champions, a Manchester, dove colse una traversa clamorosa, che con un po’ di fortuna in più….

A fine stagione 2003/04, dopo quattrocentodiciannove presenze e quarantaquattro gol in bianconero che valgono dieci trofei nazionali, Champions League, Coppa UEFA e Intertoto, lascia il calcio giocato e si dedica a quello che avrebbe voluto fare da sempre: l’allenatore. Ha certamente un ottimo curriculum formativo, a lezione da “professori” come il Trap, Lippi e Ancelotti. Il viatico c’è: “… duttile e intelligente, una forza della natura nella fase difensiva e in quella offensiva: non è un caso che sia diventato allenatore. Giocando in mezzo capisci meglio le dinamiche di tutti i reparti”, pensieri e parole di Giovanni Trapattoni.

Dopo la gavetta sulle panchine di provincia, arriva la fama di allenatore emergente, tanto che, nel 2011/12, Agnelli gli affida una squadra che non sembra poter riemergere dai bassifondi dove annaspava dopo Farsopoli. Alla guida dei bianconeri macina record e rende la Juventus uno schiacciasassi che tutto travolge: riesce nel compito assegnato, ma fallisce la conquista della Champions League, interrompendo il cammino sempre ai quarti. In compenso, giusto per essere tornato alla grande casa juventina, si “guadagna” una squalifica, per il risibile motivo che “non poteva non sapere” delle trame antisportive dei propri giocatori, al Siena. La logica giurisprudenziale è semplicemente assurda: fosse stato in qualsiasi altra squadra, non gli sarebbe accaduto niente.

Quando siede in panchina, per quanto si agita, scalcia, impreca, urla, dirige, gesticola e “accompagna” i suoi ragazzi nell’azione, arriva novantesimo provato quasi come quando giocava, un vero condottiero. Va tutto bene fino al fatidico 5 luglio 2014, quando pronunciò la celeberrima frase: “Non si mangia in un ristorante da cento euro con soli dieci euro in tasca”. Andrea Agnelli, giustamente, non la prese bene. Lasciata la Juve, prosegue l’esperienza di allenatore guidando la Nazionale, poi il Chelsea, (con cui vince Campionato e Coppa d’Inghilterra), per tornare in Italia su una nuova panchina, ma non una panchina qualsiasi, quella dell’Inter.

Nel suo ritorno da allenatore, è tornato accompagnato da quell’aura conquistata da giocatore, basti ricordare il coretto “… Senza di te non andremo lontano… Antonio Conte il nostro Capitano!” e amplificata dai tre Scudetti in tre anni dopo il medioevo post-Farsopoli. Una storia personale che ce lo faceva caro, ma questo chiacchierato ritorno in patria, un allontanamento de facto, forse regala a noi il distacco necessario per tentare un bilancio del Conte allenatore bianconero.

Forse non è vero che egli sia un integralista, infatti, il 4-2-4 delle origini si è facilmente trasformato in altri moduli quasi egualmente offensivi, e il suo calcio aggressivo pareva essersi affievolito quando gli avversari hanno iniziato a contrapporre idonee contromisure al suo pressing forsennato: squadre meno sprovvedute delle Italiane, in Europa, ci hanno interrotto il cammino in Champions.Forse è uno che i giocatori, oltre a saperli motivare, li sfinisce fisicamente, e qualcuno ha sostenuto che il suo credo fosse eccessivamente basato sul fatto che per vincere basta che a spomparsi siano prima gli avversari. Questo limite che polmoni e forza fisica fossero insufficienti a vincere le partite forse era stato compreso anche da lui, facendogli desiderare qualche giocatore di classe. Il modo con cui fece presente questo concetto ad Agnelli, però, era in perfetto… “stile-non-Juve”.

Forse era un po’ intransigente, sacchiano vorrei dire, con una tendenza a voler adattare gli uomini agli schemi che aveva in mente, peraltro con poche variabili. Un gioco certamente più appagante, anche se meno elegante di quella specie di tentativo di “guardiolismo” di Allegri, che preferisce aggiramento e tecnica… quando gli riesce. In ogni caso va detto che Conte, pur con qualche limite tattico che, chi sa di calcio più di me gli può ascrivere, in quei tre anni è stato l’allenatore giusto al momento giusto. Poi qualcuno può preferirgli Allegri, ma di “corto muso”, come direbbe lo stesso “Acciuga” con un paragone ippico a lui caro.

Di là dalle questioni tecniche, di Conte una cosa fa parlare: il suo passaggio all’Inter. Bisogna rispettare le scelte professionali, ma un certo garbo avrebbe forse fatto trascorrere qualche stagione, prima di sedersi sulla panchina della seconda squadra di Milano. Un’altra cosa che fa parlare di lui, almeno in famiglia e tra le persone che gli vogliono (un po’ meno) bene è che oggi, 31 luglio, è il suo compleanno: Antonio Conte fa cinquant’anni fa, e mi sento di augurargli ogni felicità, salute, amore, sesso, fortuna al gioco, e che non debba mai soffrire di quelle limitazioni di budget che lo costringano a frequentare ristoranti da pochi euro. Ah, quasi dimenticavo: gli auguro anche di arrivare in alto in ogni competizione sportiva in cui la sua Inter partecipi. In alto, ma sempre un punto sotto a noi. Voi che ne pensate?


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