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Editoriale di S. BIANCHI del 27/09/2019 08:49:14
Quel rigore di sessantanni fa all’Appiani

 


Odeon, tutto quanto fa spettacolo era una trasmissione RAI di Brando Giordani ed Emilio Ravel, che si occupava di spettacolo, di tempo libero e terminava col grande Keith Emerson che suonava "Honky tonk train blues". Quella storica trasmissione mi torna in mente quando penso a Sivori: anche per Omar tutto quanto faceva spettacolo, per il suo e per il nostro divertimento. Gli piaceva primeggiare e, dopo, sentirselo dire. Amava essere differente dagli altri, stupire, essere imprevedibile: in questo era abilissimo nei novanta minuti domenicali, ma anche in allenamento e in quello che oggi si chiamerebbe il suo privato.

Limitandoci al campo, pare quasi inutile ricordare quelle impagabili giocate a tre, con Boniperti e Charles, e quelle reti segnate in tutti i modi alle squadre avversarie. L’altra cosa che mandava in visibilio i suoi tifosi erano i tunnel ripetuti all’avversario, le finte a mandare a vuoto il difensore, così come i calcetti maligni spesso non visti dall’arbitro, tutto il suo bagaglio di base per far perdere la calma all’avversario e renderlo disfunzionale al gioco di squadra. Quante volte, non contento d’essere arrivato sulla linea di porta palla al piede, ha atteso l’intervento alla disperata del difensore, regolarmente saltato da Omar che, nel frattempo, con un calcetto aveva depositato la palla in rete? Non gli bastava vincere, voleva stravincere. Lo faceva per noi, per i tifosi che lo ricambiavamo con ovazioni a non finire. Avrebbe giocato gratis, pur di aver la possibilità di eseguire quei giochetti, pur di fare all’avversario quel tunnel in più, naturalmente inutile nello schema d’attacco, ma tanto atteso e gradito dai suoi tifosi.

Era fatto così. Scusate se ho scritto come se lo avessi visto giocare intere stagioni bianconere, mentre, su di lui ho solo i racconti di mio zio e di mia cugina, i libri, i VHS e i DVD che me ne hanno fatte apprezzare le finezze tecniche, l’intelligenza tattica e la capacità realizzativa. Una sola volta l’ho visto giocare, nel suo ultimo anno bianconero. Era quel Sampdoria - Juventus del 28 marzo 1965, uno a zero per i blucerchiati, di cui ricordo pochissimo, visto che ero un ragazzino. Anni dopo l'ho incontrato a Torino, nell’albergo dove la Juventus era riunita prima di una gara interna: all’arrivo di Lippi i miei amici hanno seguito Marcello, mentre io sono rimasto una ventina di minuti a parlare con lui.

Era fatto così, dicevo. Anche ciò che è accaduto in quel Padova - Juventus del 27 settembre 1959, arbitro Marchese di Napoli, è in perfetto stile - Sivori. E la seconda di campionato e la Juve, in vantaggio dal sesto minuto con Cervato, all’ottantacinquesimo mette il risultato in ghiaccio, tre a zero, con le reti di Stacchini e Stivanello. L’ambiente è incandescente: il pubblico non gradisce l’arbitraggio, più che altro deluso per aver sperato di pareggiare, mentre gli avversari hanno chiuso la gara. Per soprammercato, Blason stende in area Stacchini a due minuti dal termine: rigore! Sivori, si impadronisce del pallone e, per tranquillizzare gli animi degli avversari, sembra promettere al portiere di fargli parare il rigore.

Facciamolo raccontare da lui. «Stavamo vincendo tre a zero con il Padova e la partita stava già finendo, quando l’arbitro ci concesse un rigore che i padovani contestarono vivacemente, nonostante non avesse influenza sul risultato finale. Vedendo la disperazione di Pin, il portiere, mi avvicinai e gli dissi: Non preoccuparti, tanto lo tiro sulla sinistra. Andai sul dischetto e, ovviamente, tirai sulla destra, segnando. Pin si arrabbiò come un matto, inseguendomi e insultandomi. Non me la perdonò mai. Lo incontrai nuovamente, un paio di anni dopo su una spiaggia, e lui ancora si arrabbiò. Inutilmente tentai di spiegargli che io avevo inteso la mia sinistra e non la sua. Non ci cascò e continuò a odiarmi». Omar dimentica di dire due cose: anche il tiro è una presa in giro, con la palla, lentissima, che entra nell’angolo opposto a quello dove si tuffa il portiere e che, subito dopo il quattro a zero inizia a correre, non per esultare braccia al cielo, ma per fuggire alla rappresaglia da parte di Pin. Il tutto, mentre in campo si accende una rissa da saloon e, sugli spalti, si minaccia l’invasione di campo, con l’arbitro Marchese barricato per ore negli spogliatoi.

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