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Editoriale di S. BIANCHI del 17/10/2019 08:31:08
I colori delle squadre

 

Se entrate in un bar affollato, con una televisione in fondo alla sala che trasmette una partita di calcio, anche non udendo la telecronaca, novantanove volte su cento voi saprete che partita si stia giocando. Ve lo dicono le maglie dei giocatori.

Non era così quando il calcio è iniziato: a parte i pesanti pantaloncini alla zuava e le grosse scarpe di pelle... e a parte che non esisteva nemmeno la radio, i calciatori delle due squadre si distinguevano per le fasce dello stesso colore che portavano al braccio. La prima squadra a farsi riconoscere indossando una maglia di lana personalizzata, a strisce azzurre e bianche, fu il Blackburn Rovers, società nata nel 1875 e cofondatrice della Football League. All’inizio degli anni Trenta comparvero i numeri sul dietro delle maglie, ma per avere in campo solo maglie numerate dall’uno all’undici e con i numeri assegnati in base alla posizione in campo, si dovette attendere la fine degli anni Quaranta. Negli anni Cinquanta, mentre l’Adidas introduceva le scarpe tacchettate, in America meridionale si producevano maglie di materiale sintetico: negli anni Sessanta, chi non le adottava, usava almeno quelle di cotone. Negli anni Settanta e Ottanta, mentre i pantaloncini si accorciano (ma nei Novanta riallungheranno), le magliette si fanno sempre più sgargianti e riportano prima gli sponsor tecnici, poi quelli economici. A metà degli anni Novanta le magliette divengono più aderenti (per evidenziare le trattenute) e compaiono i nomi dei calciatori in posizione sovrastante i numeri di maglia.

A oggi le magliette da calcio pesano un centinaio di grammi, sono traspiranti e canalizzanti il sudore all’esterno e non cambiano di peso col sudore o la pioggia: l’unica cosa che hanno mantenuto è lo spirito identitario di squadra, sia in campo, sia tra gli spettatori, in larga parte usi andare allo stadio indossando i propri colori. Le magliette, evolutesi come il resto dei materiali, tanto da migliorare le prestazioni sportive, sono così divenute un fonte di guadagno per le società di calcio, che tendono a cambiarle ogni anno per farne comprare sempre di nuove dai propri sostenitori.

Solo i colori, in tutto questo cambiamento, tendono a restare uguali per ogni singola squadra, poiché hanno una loro ragion d’essere, essendo parte integrante della storia del club. Per esempio, la nostra Nazionale indossa l’azzurro dei Savoia, la Germania, il bianco della Prussia e l’Olanda, l’arancione degli Orange-Nassau. A Londra, il Fulham, la squadra più antica della città, indossa i colori bianconeri (quelli del St. Andrew’s College, come la squadra si chiamava inizialmente), il Chelsea è blu, il Tottenham blu e bianco, l’Arsenal è sempre stato biancorosso, mentre la maglia degli Hammers (azzurro e bordò) è uguale a quella dell’Aston Villa, i cui giocatori, per pagare una scommessa, dovettero fornire un loro kit maglie al West Ham.

In Italia ci son state squadre sempre fedeli al loro colore “di nascita”, come il Bologna, da sempre rossoblù (pur con la variazione, nel 1910, dai quarti alle righe verticali), l’Empoli, da sempre con il colore azzurro del gonfalone comunale, l’Inter sempre nerazzurra, la Lazio (biancazzurra in onore dello spirito olimpico rappresentato dai colori della bandiera greca), il Milan rossonero dalla fondazione. Da sempre gialloblù “ducale” è la maglia del Parma, mentre la Roma, sebbene denominata giallorossa, di giallo, al massimo ha avuto il colletto, i polsini e il numero. La SPAL, fondata dai salesiani, ha di solito portato i colori di quell’ordine di frati, il bianco e l’azzurro, mentre l’Udinese ha sempre avuto la maglia bianconera, i colori della città, anche se non sempre a righe verticali.

Ci sono poi variazioni di livrea determinate da fusioni tra società, come per l’Atalanta (nerazzurra dopo la fusione del 1920 tra Atalanta, bianconera, e Bergamasca calcio, biancoblù) e la Sampdoria, l’unica con una maglia in quadricromia: nel 1946, dall’unione di Sampierdarense e Andrea Doria, oltre al nuovo nome nacque anche la maglia blucerchiata, frutto dell’unione del bianco-rosso-nero della Sampierdarenese, col bianco blu dell’Andrea Doria. Variazioni di colore meno spiegabili quelle del Cagliari (dal bianco al nerazzurro e finalmente, dal 1927, al rossoblù comunale), del Chievo (dal bianco e blu, al biancoceleste e, negli anni ’50, al gialloblù del gonfalone cittadino), del Genoa (dal bianco, presto bianco blu a righe verticali, infine rossoblù, ma a quarti), del Napoli (a righe verticali blu e azzurre, poi a un azzurro tinta unita) o del Torino (dapprima a righe nere e arancioni, di sapore asburgico, quindi modificato in granata).

Più imponderabili i motivi delle variazioni di casacca della Fiorentina (inizialmente biancorossa e viola solo dal 1929, i maligni sostengono per un lavaggio venuto male), e quello della Juventus, che dalle maglie rosa del 1897, volendo rinnovarsi e avendo ordinato, in Inghilterra, le maglie rosse del Nottingham Forest, si videro recapitare quelle a righe verticali bianconere del Notts County. La più ingiustificabile di tutte variazioni di maglia è stata quella del Pisa Sporting Club: fondato nel 1909, con una bellissima maglia rossa (con inserti bianchi, i colori comunali), in onore della vittoria dell’Inter nel campionato 1910, adottò i colori di quest’ultima. Prego il Presidente Corrado, anche perché la seconda squadra di Milano non vince un bel niente da quasi dieci anni, di abbandonare quell’assurda maglia da cartonati.

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