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Editoriale di E. LOFFREDO del 25/02/2020 13:14:12
Presidenti di cartapesta

 

In giorni di emergenze da gestire il calcio italiano si conferma ancora una volta una barchetta di carta prossima ad inzupparsi d'acqua. Ma i troppi capitani che vi navigano sembrano non curarsene, sacrificando la rotta comune al più piccolo particolarismo.

Partiamo dallo scontro a distanza che stanno combattendo Percassi eLotito. Atalanta-Lazio era stata programmata dalla Lega di A per il 7 marzo. Siccome dei possibili impegni di Coppa Italia ed europei è rimasto solo quello in CL degli atalantini, la società bergamasca ha pensato di chiedere, con una legittima aspettativa, che l'incontro con i biancocelesti sia anticipato al giorno precedente. Così potrebbe usufruire -come concesso dalle norme UEFA- di cinque giorni di riposo prima del ritorno degli ottavi di Champions col Valencia. La richiesta però è stata rigettata dalla Lega di A: a livello nazionale non esiste la regola che ne dà diritto e a questo punto un eventuale anticipo al venerdì può essere predisposto solo con l'accordo di entrambe le società. E, stando a notizie di stampa, che ti fa Lotito? Rifiuta l'anticipo! Dietro c sarebbero storie di ruggini tra tifoserie e dirigenze.

Una Lega che fa sistema è quello che serve.Il presidente Paolo Dal Pino pare non avere il coraggio di imporsi (a proposito qualcuno lo ha mai visto all'opera?) e lascia che silenziosamente si alimenti la polemica tra le due società. Ammesso anche che sia vero che non c'è una norma che concede il diritto allo spostamento cui possa ricorrere l'Atalanta, ci chiediamo se in Lega e a Formello hanno pensato che in fondo l'Atalanta sta contribuendo a migliorare il ranking europeo della Serie A con conseguente ritorno di immagine per il nostro campionato. Poi ci si lamenta dello scarso appeal commerciale del fu "campionato più bello del mondo".

Insieme a questi, il quarto guerriero di cartapesta è tal Rocco Commisso dagli States. Un combattente fatto con RAI-art attack e la carta dei giornali che ne hanno corroborato le sortite mediatiche delle scorse settimane. Per renderlo più solido, il personaggio è stato cosparso con abbondante acqua e colla vinilica anche dopo Milan-Juventus. Le crepe del soldatino viola però sono state evidenti alla prova dei fatti: dopo Sampdoria -Fiorentina e Fiorentina-Milan, con ben due rigori più almeno un altro episodio a favore, dopo il "disgusto" dello Stadium e 'a job do Bronx della partita successiva, nessun temerario giornalista ha osato chiedergli di commentare con coerenza. Men che meno gli è stato chiesto del bel passo indietro circa la possibilità di costruire il nuovo stadio della Fiorentina.

Da ultimo, ma non per criticarlo o accomunarlo ai precedenti, il presidente della Juventus. Andrea Agnelli ha rilasciato un'intervista nella quale ha detto cose teoricamente più che condivisibili. È stato diplomatico verso il grande ex ora sulla panchina dell'inter, ha saputo "ringraziare" Commisso per aver contribuito a caricare positivamente l'ambiente e per aver fatto capire a Sarri cosa significa essere alla Juve. E ha voluto smarcare la Juventus dalla precedente guida tecnica («chi vuol vincere non è allegriano, è juventino»). Già prima della decisione di giocare Juve-Inter a porte chiuse Agnelli aveva dato disponibilità in tal senso per tutelare un interesse superiore quale quello alla sicurezza e alla salute del pubblico (ci aspettiamo che la società provveda ai dovuti rimborsi senza alcuna forma di cavillo contrattuale). Però non vorremmo che proprio questa sua linearità istituzionale lo vestisse con la stessa armatura di carta dei succitati suoi colleghi.

Il presidente della Juventus lamentando che i di diritti Tv sono fermi al palo da dieci anni dovrebbe anche capire che combattendo in mezzo all'armata Brancaleone dei Lotito, Commisso, De Laurentiis e simili non può sperare che Serie A sappia fronteggiare l'appeal della Premier o della Liga spagnola. Stare immobile su quella barchetta sui cui tutti vogliono tracciare una propria rotta non porterà a quella crescita di competitività nazionale che ha giustamente misurato con la debolezza dei ricavi da diritti TV.

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