Anastasi si è spento qualche settimana fa e ne abbiamo già scritto: lo faccio nuovamente perché oggi sono cinquant’anni da una sua spettacolare doppietta, due gol capolavoro segnati nell’arco di due minuti. Parlo ancora lui con gioia, spinto da un’ammirazione sconfinata per chi fu per me, in ordine di tempo, il secondo idolo bianconero dopo Sivori, ma il primo che abbia potuto vedere in campo.
Anastasi è uno dei pochi nostri campioni di cui Caminiti, appena avesse la possibilità, rilevava al massimo i difetti, un disamore determinato dal fatto che
“le distanze tra il campione-divo, Anastasi lo fu, e il cronista, saranno sempre enormi”. Però, sempre per Hurrà Juventus, scriveva anche, a consuntivo della sua carriera:
“Non s’era mai visto un centravanti come lui. L’istinto s’incarnava in uno scatto abbagliante come le onde del mare etneo al suo sole infuocato. Paragonato ai centravanti tradizionali, è un misto di Gabetto e Lorenzi, ha più estro che tecnica, più possesso fisico dell’azione che senso tattico; caccia il gol come lo stallone, la femmina” . Non parlava del suo svariare su tutto il fronte d’attacco a creare spazi per gli inserimenti da dietro, del suo altruismo, delle sue rifiniture per il compagno o degli splendidi cross per la testa di Bettega. E’ per quanto sopra e per i pregi “parzialmente mimetizzati” nello scritto di Caminiti, che il sottoscritto amava incondizionatamente Pietro Anastasi. Un sentimento in perfetta sintonia con la curva bianconera, che lo invocò a gran voce anche in un periodo di appannamento, quando Parola, dopo un diverbio nella fase cruciale della stagione 1975/76, lo mise troppo a lungo ai margini, consegnando nei fatti lo scudetto al Toro di Radice.
Torniamo al titolo. Quel giorno, al Comunale, si gioca Juventus - Milan, undicesima di ritorno e l’arbitro è Angonese. Al Milan di Rocco, che tra gli altri mette in campo Cudicini, Trapattoni, Rivera e Prati, il nostro Ercole Rabitti, subentrato a Carniglia dopo un inizio di campionato da dimenticare, schiera la Juve con Tancredi, Salvadore e Gianpietro Marchetti; Roveta, Morini e Cuccureddu; Leonardi, Furino, Anastasi, Del Sol e Haller. La gara si decide nel primo tempo, con la prima rete al 21°: galoppata di Salvadore sull’out di destra, perfetto cross respinto da un milanista nella zona dov’è in agguato Anastasi, che con una rovesciata sensazionale batte Cudicini. Il brusio dei commenti ammirati dei cinquantamila sugli spalti ha appena sostituito l’applauso scrosciante, quando l’attimo di silenzio che accompagna la battuta di punizione di Haller dal vertice destro dell’area, lascia nuovamente spazio a un applauso che sa di ovazione: Anastasi, in tuffo, ha accarezzato di testa la pennellata del tedesco, infilando il pallone nell’angolino basso opposto. In molti hanno le lacrime agli occhi per l’emozione, e siamo soltanto al 23° del primo tempo. La partita scivola via bene: al 41° il festival del gol da antologia è chiuso da Leonardi, che con un destro al volo, su perfetto traversone dalla sinistra del solito Haller, punisce ancora Cudicini.
Tranne un paio di tentativi rossoneri, la gara è quasi un monologo bianconero, e i nostri continuano ad arrivare al tiro da tutte le parti. Subito prima dell’ultima azione della gara, una splendida triangolazione Leonardi - Anastasi – Leonardi, che consente a quest’ultimo di entrare in area e scoccare un diagonale fuori di un nulla, ecco la certificazione dell’impotenza milanista. Sulla trequarti, un disperato tentativo di attacco di Rivera è annullato da un perfetto intervento di Furino, che toglie la palla all’ex “Golden boy” e se ne va in eleganza... per subire un immediato calcione da dietro, “naturalmente” non sanzionato. Un gesto di frustrazione che sottolinea la superiorità bianconera.
Lo Scudetto alla fine fu del Cagliari, con la Juventus, pur partita male, che a febbraio era arrivata a un solo punto dai rossoblù. La svolta, a Torino, nello scontro diretto: un rigore molto dubbio assegnato al Cagliari all’82° (ipotetico fallo di Salvadore su Riva), consentì agli uomini di Scopigno di impattare per due a due. La sconfitta di Firenze della domenica successiva demotivò la squadra, che alla fine giunse solo terza. Un’annata, però, non completamente negativa dal punto di vista societario, che vide porre le basi di un assetto che avrebbe portato a trent’anni di successi: oltre agli azzeccati innesti di giovani come Marchetti, Morini, Furino e Cuccureddu, a novembre c’era stata la nomina di un certo Giampiero Boniperti ad Amministratore Delegato.
Tornando ad Anastasi: certamente tutti sanno che il suo trasferimento da Varese a Torino fu anche una questione di compressori per frigoriferi e che, quando si presentò in Galleria San Federico, in maglietta e capelli lunghi, il Presidente Catella lo congedò, invitandolo a ripresentarsi con giacca, cravatta e capelli corti. Pietro eseguì. Forse, meno tifosi sanno come iniziò l’avventura di Anastasi nel grande calcio. Allora lo chiamavano “Petruzzu ‘u Turcu” e giocava nella Massiminiana, in quella che allora si chiamava “quarta serie”. Domenica ventiquattro aprile 1966, Cesare Casati, manager di quel Varese appena sconfitto tre a zero al Cibali, era a Fontanarossa in attesa del suo aereo. Al check-in, prima di lui c’è una donna incinta che chiedeva disperata un volo per Milano. Niente posto, se non fosse per quel signore di Casati, che le cede il proprio. Al bar dell’albergo, dov’è tornato per cena, il barman gli consiglia di sfruttare la permanenza non preventivata a Catania
“per andare a vedere la Massiminiana, dove c’è un ragazzino eccezionale” . Casati segue il consiglio, e fu così che la signora incinta proiettò il nostro Anastasi nel calcio che conta.
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