Così si possono riassumere, in una parola, le motivazioni della sentenza con cui la Corte Sportiva di Appello FIGC ha respinto il ricorso presentato dal Napoli avverso la sconfitta a tavolino per non essersi presentata a Torino e il punto di penalizzazione inflittole.
La Corte non si è, infatti, limitata ad entrare nel merito delle difese del Napoli (e a smontarle), ma è andata ben oltre quelle che potevano essere le attese, che si limitavano ad una probabile contrapposizione giuridica (e ideologica) tra tesi che privilegiavano il protocollo o la presunta superiore competenza dell'ASL, soffermandosi, invece, a stigmatizzare la condotta tenuta in prossimità della partita.
Il comportamento della società campana, infatti, è stato ritenuto
“teso a precostituirsi, per così dire, un “alibi” per non giocare quella partita” (...)“la Società S.S.C. NAPOLI S.p.A. ha orientato la propria condotta al precipuo scopo di non disputare il predetto incontro, o, comunque, di precostituirsi una scusa per non disputarlo”. Parole chiarissime che sottolineano come il
Napoli si sia macchiato di una gravissima colpa, non rispettando
“il fine ultimo dell’ordinamento sportivo che è quello di valorizzare il merito sportivo, la lealtà, la probità e il sano agonismo”, con un (goffo) tentativo di
“farsi le regole da soli”.
Non solo. La Corte ha sottolineato quello che un po' tutti avevamo evidenziato, in contrapposizione con quanto accaduto pochi giorni prima, quando il Napoli e la Asl di riferimento nulla hanno avuto da ridire sullo svolgimento di Napoli – Genoa, con la squadra ligure falcidiata da defezioni causa Covid.
“Il comportamento tenuto dalla Società ricorrente non risulta neanche rispettoso degli altri consociati dell’ordinamento sportivo, più precisamente delle altre Società di calcio professionistico di Serie A, che in situazioni del tutto analoghe a quella in cui si era venuta a trovare la Società S.S.C. NAPOLI S.p.A. nei giorni antecedenti l’incontro di calcio di cui è procedimento (ma, in alcuni casi, anche ben più critiche), hanno, regolarmente, disputato gli incontri che le vedevano impegnate.” La questione non finisce qui, ovviamente, perché ci sono altri gradi di giudizio, anche al di fuori dell'ordinamento sportivo, anche se non si capisce come eventuali pronunce contrarie a questa possano essere concretamente attuate una volta esaurita la stagione in corso e cristallizzata la classifica.
Ciò che ovviamente resterà in ogni caso sono, però, quelle parole di condanna:
“alibi”,
"palese violazione dei fondamentali principi sui quali si basa l’ordinamento sportivo, ovvero la lealtà, la correttezza e la probità", “comportamento non rispettoso” a carico di chi è sempre pronto ad ergersi a giudice morale degli altri.
Un'ultima considerazione: a chi dice che finalmente la Juventus ha ottenuto una vittoria in un tribunale sportivo, consiglio di non esaltarsi troppo,
perché la società torinese ha scelto di non partecipare al giudizio, rimanendo formalmente estranea alla questione, che ha portato ad una decisione che sembra, all'evidenza, una pronuncia a favore del sistema calcio nel suo complesso e di condanna per chi ha rischiato (e rischia) di farlo saltare per interessi di cortile.
La Corte sul punto, è stata chiara:
“Questa Corte non può non evidenziare come l’eventuale condivisione della tesi propugnata dalla Società ricorrente porterebbe, inevitabilmente, a frustrare, totalmente, la motivazione posta a fondamento dei Protocolli federali in tema di gestione delle gare e degli allenamenti delle squadre professionistiche di calcio in tempo di COVID-19, ovvero quella di consentire, seppure nella criticità della situazione determinata dall’emergenza sanitaria, di svolgere e portare a termine il Campionato di Calcio di Serie A”Iscriviti al nostro Gruppo Facebook!
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