Non era ancora finita di sorgere, che già tramonta l’idea di questa nuova Super League, tra fuggitivi notturni e transfughi mattinieri. Cosa ci lasciano questi pochi giorni di confusione? Nient’altro che
amaro in bocca, non tanto per il fallimento di un progetto appena abbozzato e apparso piuttosto sgangherato, quanto per la conferma della
cialtronaggine di chi tiene le redini di una industria miliardaria.
Tra i club fondatori della nuova lega, ci sono (o meglio, c’erano) gran parte delle società più importanti del mondo, sia per fatturato che per blasone. Eppure, al primo alito di vento, il castello eretto dai dodici è crollato in un batter d’occhio. A fare la
figura peggiore è stato senza dubbio il
presidente juventino, che ha impersonato la parte del traditore, accusato da tanti che gli stavano attorno di averli pugnalati alle spalle, facendo il doppio gioco per mero interesse personale. Ma non hanno certo dimostrato di avere la “schiena dritta” neanche quei
dirigenti che hanno condiviso il comunicato di rottura, per poi rimangiarsi la parola un paio di giorni dopo.
In questa storia non ci sono buoni e cattivi: abbiamo assistito alla
fiera delle vanità e dell’ipocrisia ed è davvero difficile identificare chi abbia interpretato il ruolo più meschino. Se la figuraccia planetaria di Agnelli è stata oggettivamente imbarazzante, sentire i
papaveri di FIFA e UEFA raccontare storie strappalacrime di persone a cui hanno regalato il sogno di una finale di Champions League o ergersi a paladini del “calcio di tutti” è stato al limite del vomitevole, esattamente come assistere alla
levata di scudi di politici ispirati da Che Guevara (ma con abiti da 2.000 euro), o vedere
giocatori ed allenatori plurimilionari raccontarci quanto è bello il loro calcio, fatto solo di pane e amore.
L’aspetto più triste, però, è la constatazione di quanto sia
facile manovrare il popolaccio: il gregge ha immediatamente risposto ai propri pastori, che sanno adoperare perfettamente gli strumenti più antichi (giornali e tv) e quelli più recenti (social). E così abbiamo assistito alla pronta reazione di chi voleva che il calcio rimanesse “alla gente”, accusando i ricchi club di volerlo tutto per sé. Sono comparsi prima striscioni, poi tifosi a bloccare pullman della propria squadra: tutti d’accordo a difendere il fortino. Peccato solo che dentro al fortino che sono scesi a difendere non ci sia posto per i morti di fame come noi: ci resteranno Ceferin, Infantino e i loro amici. Buon calcio a tutti!
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