Le cronache di questi giorni vorrebbero tramandare alla storia la leggenda della ribellione del popolo contro il calcio dei ricchi. Tra i Masaniello che avrebbero salvato la meritocrazia e la funzione sociale dello sport saranno annoverati politici, VIP, calciatori e allenatori che hanno sempre prestato la propria opera al calcio in modo equo e solidale. Guardiola, De Zerbi, quei giocatori della Premier che hanno indossato t-shirt a tema, hanno da sempre rifiutato contratti a sei zeri solo per rispetto alle proprie origini proletarie e per personali convinzioni ideologiche.
La sommossa inglese sarebbe partita grazie ai tifosi del Chealsea, che, si sa, è la squadra di uno dei quartieri più popolari della capitale inglese. Si sono poi aggiunti altri supporters sudditi di sua maestà la regina, tutti mossi dall'abitudine alla Premier, un campionato che fa soldi a vagoni solo perché distribuisce in modo quasi gratuito partite e gadgets. Coerenza.
Se dovessi raccontare una mia personale verità direi che il calcio degli ultimi decenni è sempre stato di qualche ricco. Non è dei fans, come in modo molto paraculo ha voluto sbandierare l'allenatore del City; non "è di chi lo ama" come recita uno slogan italiano. I tifosi hanno sempre dovuto accettare che fosse governato da chi poteva spendere: si va dalle cinquantamila lire e una mucca, ai quattrocento milioni per Neymar e Mbappé. I tifosi di tutta Europa hanno poco da gioire: si sono semplicemente fatti strumentalizzare dai padroni che c'erano già prima.
Anche i dodici della Super League sarebbero stati dei padroni? Sì e lo sarebbero stati proprio grazie ai tifosi che hanno la necessità di trovare uno sponsor a cui aderire in modo acritico. Se invece che tifosi fossimo realmente cittadini e consumatori consapevoli del prodotto calcio, allora avremmo accolto quasi con favore l'irrompere di un soggetto diverso che facesse un po' di concorrenza al monopolio attuale. Avremmo potuto affrancarci dalle stesse strumentalizzazioni di questi giorni non per diventare adepti della setta di Florentino Perez e Andrea Agnelli, ma per
diventare terzi rispetto alle due botteghe europee intente a vendere calcio. La concorrenza è sempre da preferire al monopolio o alla posizione dominante.
È stato fatto credere che restare col vecchio "gestore" fosse giusto, bastava accorgersi dell'immediato serrate le fila che si è creato tra FIFA, UEFA e istituzioni politiche continentali per comprendere che qualcosa non tornava. Quel consorzio tra politica, governi e padroni del pallone non stride con la quotidiana rivendicazione dell'autonomia dalla politica che viene professata da Comitati olimpici, federazioni e leghe?
Vogliamo poi parlare delle minacce ai giocatori? «Chi partecipa alla Super League non potrà giocare gli Europei e i Mondiali» (quelli in Qatar...), questo è etico? Chi ha protestato perché il calcio è di tutti, come spiega che FIFA e UEFA si siano mosse al grido "a calcio gioca solo chi diciamo noi!"?
Analogo discorso si può fare per i rumors relativi alle promesse economiche fatte ai club inglesi da parte dell'UEFA. Tutto molto equo e leale. Proprio come l'opera di dissuasione che il premier Boris Johnson avrebbe esercitato presso i sei club inglesi.
Parafrasando Orwell: del calcio nessuno è padrone, ma qualcuno è più padrone di altri.
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