Un buco nell'acqua enorme, un flop epocale, chiamiamolo come vogliamo. Il provvedimento di assoluzione di tutti i deferiti nel maxi processo sportivo sulle plusvalenze asseritamente “gonfiate” può aver sorpreso solo i colpevolisti a tutti i costi (che quando è coinvolta la Juventus abbondano), non chi aveva affrontato la questione senza pregiudizi di base, dal momento che l'esito finale appariva scontato, anche da un semplice esame superficiale delle accuse. E non, si badi bene, perché il problema di fondo non sussista, ma semplicemente perché considerare illecito un fatto di per sé pienamente lecito (le plusvalenze) sulla base di criteri totalmente arbitrari e soggettivi neppure definiti a priori era apparso da subito una sorta di suicidio giudiziario da parte della procura.
I criteri adottati in maniera del tutto discrezionale per la determinazione delle “supervalutazioni”, sia che utilizzassero il sito Transfermarkt come base di calcolo o solo come elemento di “confronto”, non potevano all'evidenza reggere.
In attesa delle motivazioni, anticipate in parte dai soliti ben informati delle procure, restano alcune domande senza risposta.
Perché si è voluto a tutti i costi un processo del genere, che ha coinvolto ben 11 società e 59 dirigenti, senza avere nulla di concreto in mano?
Perché, nell'assurdità del mega-deferimento collettivo,
alcune società sono rimaste fuori, in attesa di non meglio precisati sviluppi di un filone autonomo che tarda ad attivarsi? Dette società ora potranno, di fatto, beneficiare di questo provvedimento senza neppure sgualcirsi in giudizio lo smoking bianco.
In tutto questo calderone, ci si chiede, poi, perché, anziché perdere tempo in questo modo, non si affronti seriamente la questione, mettendo dei paletti “finanziari” ai bilanci delle società calcistiche, preferendo limitarsi a gridare periodicamente “al lupo! Al lupo!”.
Chi scrive ha più volte stigmatizzato l'uso eccessivo e spregiudicato di questo artificio contabile anche da parte della Juventus: inutile nascondersi dietro ad un dito, il fatto che non sia punibile lo scambio di carneadi dell'U23 o delle giovanili a milioni di euro non significa che siano auspicabili in futuro queste operazioni, se non altro per non ritrovarsi in rosa mostruosità calcistiche come Arthur a 72 milioni di valore, invendibile per anni.
O, come accaduto con Rovella, arrivando a pagare 18 milioni di euro più bonus un giocatore che poteva già essere messo sotto contratto a zero euro, essendo in scadenza, lasciandolo pure in prestito gratuito per una stagione e mezza, solo per poterlo scambiare con un paio di giocatori di seconda o terza fascia che nel libero mercato calcistico non ci avrebbe mai pagato nessuno.
In tutto questo approfittiamo per prendere atto di come, questa volta, la Juventus abbia deciso di difendersi e, per quanto l'accusa fosse solida come un castello di carte, lo abbia fatto in modo puntuale e deciso, pur nell'ormai consueto silenzio di questi mesi, in cui siamo stati attaccati da tutte le parti, con un enorme danno di immagine che neppure una assoluzione potrà mai ripagare. Non vogliamo pensare che la motivazione sia che, questa volta, a differenza di altre in cui si preferì non difendersi e offrire il petto o patteggiare (pensiamo a farsopoli o al coinvolgimento di tesserati Juve nello scandalo scommesse), i nomi in questione non fossero (almeno al momento) “sacrificabili”. Il dubbio, però, rimane.
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