«Qualcuno doveva aver calunniato Josef K., perché senza che avesse fatto niente di male, una mattina fu arrestato.»
Ci sono mille ragioni per cui si decide di acquistare (e magari anche leggere!) un libro. Per quanto mi riguarda, la stragrande maggioranza di quelli che ho letto per divertimento, li ho scelti quasi per caso. Spesso, a fare la differenza, è stato l’incipit. Ricordo, ad esempio, I fiori blu di Raymond Queneau: mi capitò in mano l’edizione tradotta da Calvino e, alla lettura della prima frase, decisi che non avrei potuto fare a meno di leggerlo.
Ma l'apertura del Processo di Kafka è certamente tra le più intriganti della storia della letteratura: perché Josef K. viene arrestato? Non ha fatto niente di male, eppure la sua vita verrà stravolta! Per chi ama Kafka, la cifra stilistica del Processo non è una novità: la Metamorfosi, ad esempio, raccontava un episodio inverosimile, in maniera tanto credibile da apparire quasi una cronaca. Nel Processo, la vicenda di K. è descritta in maniera altrettanto asciutta, ma si dipana senza ciò che la nostra coerenza si aspetta. Cos’ha fatto K.? Di cosa è accusato?
Nell’estate del 2006, fu per me quasi naturale rapportare ciò che stava subendo la Juve al racconto kafkiano. Credo di non essere stato l’unico a realizzare questa corrispondenza. Tra l’altro, c’erano tante analogie, che non si fermavano solo alla struttura generale del racconto. Prendete per esempio il momento in cui Josef K. decideva di affidarsi all’avvocato Huld, quello dei poveri! Chissà perché, quando sentii parlare Zaccone, mi venne in mente quel personaggio. Sia chiaro, so bene che Zaccone è tutt’altro che uno sprovveduto. Ma nella vicenda legata alla Juve impersonò perfettamente la figura di un “avvocato dei poveri”. E l’avvertimento di quel pittore che metteva in guardia K. dal tribunale, portato a condannare sempre, quando avviava un processo? Nelle parole del pittore, sentivo ciò che la mia coscienza mi aveva sussurrato dal primo istante: “Attento! Se hanno fatto tanto baccano, non aspettarti che poi non arrivi anche una condanna!”. Ma era soprattutto quel terribile senso di ineluttabilità che accompagnò l’intera vicenda, svoltasi in gran parte in una hall di un hotel (anche questo particolare sarebbe certamente piaciuto a Kafka!), a farmi rivivere le sensazioni già provate durante la lettura di quel romanzo.
Sono trascorsi quasi quattro anni, ma ora ci risiamo: mi torna in mente l’assurda vicenda che l’autore ceco ideò per il suo Processo. Proviamo ad analizzare cosa frulla nella testa degli accusatori. Auricchio ci racconta che, sulla base di alcune intercettazioni e di quanto alcuni giornali riportavano, si è giunti a ricostruire l’intera vicenda. Quale vicenda? Io sinceramente non l’ho ancora capito! Di cosa è accusato Moggi? Mi pare di “associazione a delinquere”. Quindi devo pensare che questa associazione, essendo “a delinquere”, qualcosa deva avere fatto. Ma quando si tenta di approfondire questo concetto, si ricevono sempre le stesse vaghe risposte, che più o meno suonano così: “Non conta quello che Moggi ha materialmente fatto. La Juve rubava, perché lo dicevano tutti i giornali più accreditati, come Gazzetta, Corriere e Repubblica!”. L’altra sera, Platini era ospite da Chiambretti e ha ripetuto a grandi linee il medesimo concetto: «Se li hanno accusati, qualcosa devono avere fatto!». Esattamente l’avvertimento che Josef K. riceveva a più riprese: se si fa un processo, è giusto che ci sia anche una condanna!
Facciamo un passo indietro. Nel pieno della bufera farsopoliana, sui giornali già menzionati leggevamo praticamente ogni giorno le intercettazioni riguardanti i due Moggi e i tanti altri personaggi più o meno illustri collegati al castello accusatorio. Erano generalmente discussioni poco interessanti, ma che vennero enfatizzate all’inverosimile. Soprattutto, venivano assiduamente sottolineati due aspetti. Primo. Le intercettazioni fino a lì pubblicate erano solo la punta dell’iceberg. Presto ne avremmo viste delle belle! Secondo. Oltre alle intercettazioni, erano state svolte indagini accuratissime, che avrebbero dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio la colpevolezza degli imputati. Stiamo ancora aspettando le intercettazioni “bomba”, che ci erano state promesse. E ormai siamo fuori tempo massimo: quello passò il convento, e di quello dobbiamo accontentarci… Ma la sorpresa più clamorosa è stata la scoperta che le tanto pubblicizzate indagini, che avrebbero dovuto confermare i sospetti avanzati dai mass-media, altro non erano che un “taglia e incolla” dei giornali stessi! Siamo di fronte ad un procedimento autoreferenziale, che si alimenta di se stesso. Uno strano mostro, che cresce cibandosi delle proprie membra! Come potremmo accettarlo? Come potrebbe una persona dotata di un minimo senso critico restare indifferente, di fronte a quanto sta avvenendo?
Ma è proprio un dialogo immaginato da Kafka, a dare bene l’idea di quanto sorprendenti possano essere le elucubrazioni di certi individui. «No,» disse il sacerdote, «ma temo che finirà male. Sei ritenuto colpevole. Forse il tuo processo non andrà neppure oltre un tribunale di grado inferiore. Almeno per il momento, la tua colpevolezza si dà per dimostrata.» «Ma io non sono colpevole» disse K., «è un errore. E poi, in generale, come può un uomo essere colpevole? E qui siamo pure tutti uomini, gli uni quanto gli altri». «È giusto» disse il sacerdote, «ma è proprio così che parlano i colpevoli.»
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