L’aspetto determinante della sentenza di condanna a Giraudo è certamente quello inerente
l’associazione a delinquere. In particolare, si rileva che la
difesa nutriva seri dubbi sulla contestazione di “un reato previsto da una norma incriminatrice molto seria riguardo a fattispecie concrete, evidentemente giudicate non idonee ad incidere sui temi della sicurezza e della tranquillità sociale” (pag.161). De Gregorio ricorda l’importanza dell’industria-calcio, che muove forti capitali e, a suo parere, “costituisce il vero motore” del nostro Paese (evidentemente il giudice ha un’opinione estremamente bassa della situazione italiana!). A questo aggiunge le ripercussioni sui concorsi legati ai risultati sportivi ed agli introiti per mezzo di essi ricavati dallo Stato. Quindi l’associazione era “idonea a mettere
in pericolo l’ordine pubblico, inteso in senso lato come insieme delle regole che tutelano tali beni-interessi e principi” (pag.162). Una bella acrobazia mentale, questa! Ma proseguiamo. Visto che di prove, in oltre 200 pagine di spiegazioni, non si trovano tracce, vale il solito principio: “in
mancanza di prove dirette circa la costituzione dell’associazione, anche in questo caso, la prova dell’esistenza del sodalizio va desunta dagli indici rivelatori, prima ricordati” (pag.163). Quindi il ragionamento è semplice: Giraudo forse ha incontrato qualche volta Bergamo e Pairetto. Non sappiamo cosa si dissero in quelle occasioni, ma immaginiamo che tramassero qualcosa di losco. E allora è colpevole di associazione a delinquere. Con buona pace della presunzione d’innocenza.
“Quanto all’efficienza del sodalizio, altro sicuro indice rivelatore della sua esistenza, va sottolineato che esso raggiunse tutti gli scopi già programmati e quelli che, nel corso degli eventi, si propose di conseguire” (pag.166). Anche in questo caso, dal momento che sono “in corso di identificazione” gli altri associati, siamo costretti ad indicarne (a malincuore) uno:
Alessandro Del Piero, che con una strepitosa rovesciata a S. Siro inventò l’assist per il gol di Trezeguet (anche lui associato?), che realizzò la rete decisiva per quel campionato e regalò la
“vittoria finale alla Juventus – all’evidenza scopo principale del gruppo”. Tra i mezzi a disposizione dell’associazione, ovviamente c’era l’
influenza sulla carriera degli arbitri (e infatti si è visto come Collina, estraneo all’associazione, sia finito male!) e il
controllo di importantissime e credibilissime trasmissioni come il Processo di Biscardi (pag.167). Interessante anche la
strana situazione di Collina, che a pag.55 veniva definito “preferito” dalla Juve (in mancanza di Trefoloni) per lo scontro-scudetto a S.Siro e invece era stato escluso (con Rosetti) pochi mesi prima da una griglia, “per concorde volontà punitiva di Moggi e Bergamo” (pag.168).
Per comunicare, i membri dell’associazione utilizzavano le mitiche
“schede riservate”. Tali oggetti “costituivano il mezzo necessario agli imputati per colloquiare”. “Il possesso e il conseguente uso di schede segrete deve essere considerato, oltre che come predisposizione di un minimum di mezzi comuni, come sintomo, insieme ai precedenti, di appartenenza all’associazione e del vincolo associativo tra i possessori e gli usuari” (pag.170).
Peccato solo che Giraudo di quelle schede non fosse munito. In questo ragionamento, come in molti altri, è impossibile fare a meno di notare che
generalmente si costruisce un’accusa a Moggi per poi condannare Giraudo. Il problema è che Moggi si sta difendendo (e bene!) da un’altra parte, mentre in questa sede ci si aspettava che l’attenzione fosse concentrata su Giraudo. Ma forse nella visione di De Gregorio il destino degli ex-dirigenti juventini è assimilabile a quello dei “due che ‘nsieme vanno”, che Dante immaginò e descrisse nella sua Divina Commedia.
Riguardo i singoli,
Cassarà (pagg.173/174) se la cava con un’
assoluzione, principalmente grazie al fatto che durante la stagione in esame ha arbitrato poco (scherzi del destino: c’è da immaginare che a suo tempo non fosse troppo contento di poter dirigere poche partite… e invece proprio quello l’ha salvato!).
Stessa sorte per
Gabriele (pagg.175/177), nonostante le accuse di Dal Cin e Cellino: anche lui
assolto per non aver commesso il fatto.
Buone notizie anche per
Baglioni (pagg.177/179),
assolto con la stessa formula dei precedenti, nonostante le dichiarazioni di Coppola (che lo indicava come amico di Mazzini), Cosimo Ferri e Cuttica. Ma soprattutto il buon Baglioni non viene condannato per quella bandierina alzata ai danni di Shevchenko. Meno male: tirano un sospiro di sollievo tutti gli assistenti di gara…
Il povero
Pieri (pagg.179/182) è invece ritenuto
colpevole, perché secondo la ricostruzione della PG
ha parlato troppo con Moggi e da questi è stato difeso dalla mannaia del terribile Baldas (un po’ il David Letterman de noantri). E al giudice non interessa se con lui il Messina, tanto caro a Moggi, ha sempre perso: è colpevole, indipendentemente da come abbia arbitrato e da come siano andate le partite che lo videro in campo!
Lanese (pagg.182/185) è
colpevole, in quanto “intrattenne frequenti e costanti rapporti” con gli altri imputati ed insabbiò la vicenda di Reggio Calabria (quella per la quale sarebbe scattata una squalifica dei due di qualche mese), che avrebbe certamente “nuociuto a Moggi e Giraudo, indebolendoli nell’ambiente”. E questa è davvero bella! In che senso avrebbe nuociuto?
Forse Moggi e Giraudo, se quella storia fosse saltata fuori, sarebbero diventati antipatici? Giraudo (pagg.186/195) è ovviamente
colpevole. La lunga motivazione (dieci pagine!) ripercorre l’intera storia raccontata nel resto del documento. Si parla delle
riunioni, comprese quelle a cui non prese parte ma di cui doveva essere a conoscenza, e soprattutto delle
intercettazioni, in cui qualsiasi esclamazione è misurata sul bilancino da farmacista. Questa vicenda è certamente istruttiva: bisognerebbe sempre stare attenti a ciò che si dice al telefono. Con certe orecchie che possono ascoltare, si rischiano condanne per omicidi, senza bisogno che ci sia un cadavere! E così ritroviamo la storia sulla
Fiorentina, che si appellava a Giraudo e continuava a perdere; rileggiamo i
dialoghi tra Bergamo e la Fazi, in cui il primo raccontava delle sue mosse per mantenere la considerazione dei dirigenti juventini (peccato solo che quelle stesse mosse le ripeteva per tutte, o quasi, le squadre di serie A); troviamo l’ennesima riproposizione dell’
intercettazione a Giraudo, in cui definisce Bergamo “amico” (grave reato, quello di essere amici!).
“Da ultimo, e ad abundantiam, va posto in rilievo che Giraudo fu colui che maggiormente si adoperò per isolare l’allenatore Zeman, grande critico della Juve e dei suoi dirigenti con le sue esternazioni su fatti specifici quali l’uso del doping, per cui anche Giraudo fu imputato”.
È significativo che Zeman lo si ritrovi in apertura e in chiusura di questo lungo documento: il suo nome determina da solo il valore morale di questa sentenza. Non meno interessante è notare il ribaltamento delle responsabilità ben evidenziato nell’ultima parte di quella frase: Zeman si riferì a “fatti specifici”, sui quali anche Giraudo fu “imputato”. Una mezza verità non è troppo distante da una bugia:
Giraudo non fu solo imputato, ma anche assolto per la vicenda doping! E se Giraudo fu assolto, significa che Zeman lo infangò gratuitamente, facendogli perdere un sacco di tempo nelle aule di tribunale.
Cosa rimane, a parte tanto amaro in bocca, al termine di questo primo grado? Al momento, abbiamo
quattro condannati per associazione a delinquere, alla quale partecipava
un solo arbitro, ma che fu capace di decidere le sorti dell’intero campionato. Prove a sostegno? Nessuna. Anzi, è il giudice stesso a sottolineare ripetutamente che
si ragiona sulla base di indizi (pochi) e deduzioni (tante) . Riguardo
Giraudo, poi,
a fare la differenza sono un paio di discussioni telefoniche in cui se la prende con Lotito e con Zeman. Per oltre 200 pagine
si parla quasi esclusivamente di persone che saranno giudicate altrove, ma poi tutto si riversa sulla pelle dell’ex Amministratore Delegato della Juve, mediante formule non troppo dissimili al mitico “non poteva non sapere”. Le
partite incriminate non furono contestate da nessuno (se non per i classici commenti di chi, sconfitto, è ovviamente deluso) e in questi quattro anni sono state messe sotto la lente di ingrandimento, senza trovare
nessuna anomalia. Ma è lo stesso giudice a spiegarci che
non conta come l’arbitro abbia fischiato. Anzi, non conta neppure il risultato: Pieri ha arbitrato due volte il Messina e per due volte il Messina ha perso. Ma lui era comunque parte di un’associazione che aveva come fine quello di salvare il Messina. De Santis, ogni volta che arbitrava la Juve, scatenava l’ira di tutti i tifosi bianconeri. Ma pare di capire (anche se qui non potevano condannarlo, visto che sarà giudicato a Napoli) che anche lui facesse parte di un’organizzazione che aveva come fine quello di fare vincere la Juve.
A questo punto rimane un solo dubbio. Secondo questo giudice, il mitico arbitro Byron Moreno faceva parte di un’associazione che tentò di fare vincere il Mondiale all’Italia?
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