L'attaccamento all'immagine autentica che ho delle disavventure della Juventus tra il maggio e il 31 agosto 2006 è come cristallizzata in un‘intera sequenza che tendo continuare a raccontarmi come mi pare. La realtà è che fui raggirato. Quindi, da allora, ogni volta che non sono consapevole di un'emozione di primo acchito e tendo a sviluppare un'illusione, la respingo e con essa l'opportunità di ascoltarmi attentamente continuando a sviluppare una disarmonia interna che è diventata irreversibile.
Andrea Agnelli sarà dalla prossima stagione il Presidente della Juventus. Questo evento è una bella sterzata che abbiamo salutato come una schiarita essenziale partecipando alla rete di auguri, alcuni sinceri (sicuramente i nostri) altri meno, per un futuro lavoro proficuo e di “restaurazione” dell’antico, autentico ed invincibile “stile Juventus”. Se sul piano sportivo, programmatico, tecnico ed economico si cercherà di salvare il salvabile di quel che rimane dopo la sciagura del “projectò”, nato infame proseguito male e finito peggio, soprattutto dal punto di vista della “sostanza madre” della nostra battaglia ci aspettiamo molto. Tutto. Con fiducia. Fiducia che però non sarà una cambiale in bianco. Quella, per intenderci, che ho sempre firmato, con piena soddisfazione e ad occhi chiusi, sia a suo papà Umberto che a suo zio Gianni. Perché dopo quanto successo tra il maggio e il 31 agosto 2006 mi sento solo più “vicino alla squadra” e qualche volta all’allenatore (Deschamps).
Perché allo scoppio di Farsopoli sono successe “cose riprovevoli” soprattutto dalla proprietà, ed in particolare ad opera del suo azionista di riferimento e del suo harem. Perché le reazioni alle sentenze cosiddette sportive Palombo-Ruperto-Zaccone-San Dulli, basate sul comune sentire popolare antijuventino che teorizzavano di improbabili sommatorie matematiche di articoli del C.d.G.S., di consumazioni anticipate più simili a masturbazioni di repressi abituati ad andare in bianco, invenzioni autentiche su strutturazioni di reato a metà tra gerani giallorossi appassiti e cravatte nerazzurre dolci e severe, le ho trovate “non sostenibili”. Perché il Tar più che “un tribunale che esiste” dove discutere ricorsi sacrosanti è servito più a blindare possibili strade future o a gettare fumo negli occhi. Perché il cugino, tale J.J.P. Elkann, figlio di quell’Alain che non disdegna calore fedifrago in anfratti nascosti, e fratello di quel Lapo “quasi caduto” nelle braccia del transgressivo Patrizia, ha cercato di uccidermi l’anima sportiva e il cuore bianconero. Non c’è riuscito per un soffio. Un soffio che dapprima mi ha rialzato e poi è diventato vento e tempesta.
Questo pregresso è stato troppo doloroso e mi impedisce di andare oltre una razionale fiducia, anche se inconsciamente l’emozione del cognome tende a sviluppare una dolce sensazione che ieri mi illuse e che oggi, più freddamente, mi rinfranca. Ed è forse il più irreversibile danno che il cuginastro, erede privilegiato in maniera opinabile al cospetto di tutti i fratelli e sorelle, che parla di leggi uguali per tutti, ha compiuto in base al comune sentimento di Franzo G. Stevens e G. Gabetti.
Riconosca Andrea Agnelli questa come una opportunità compresa del suo carico inesorabile direi quasi ineluttabile. Per afferrarla pienamente dovrà però guardare nel suo cuore bianconero ed estrarvi l’onore di quella maglia e quella bandiera che nei suoi avi ha sempre prevalso sugli interessi di cordata, attingere dalla dignità di quei colori che non ammettono compromessi, rivivere ad uno ad uno l’emozione delle mille vittorie e di tutti e 29 gli scudetti e relativi trofei che devono tornare nella bacheca della sala trofei senza asterischi, rifarsi ai veri valori Juventini che sono quelli di Scirea, Bettega, Parola, Calligaris etc..
Per far capire al tifoso Juventino che non sarà un altro un brindellone con la parrucca riccia, come suo cugino e soprattutto che i ratti per noi Juventini non possono essere animali da o di compagnia (specie di merende).
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