Ieri sera stavo rincasando dall’ufficio quando, a pochi metri dalla mia auto verso la quale mi stavo dirigendo, è scoppiata una rissa. Protagonisti quattro signori di mezza età, uno dei quali è stato preso violentemente a cazzotti e sbattuto contro la vetrina di un negozio. Quando gli avventori del bar di fronte si sono sporti a reclamare contro quel fracasso, ed il sottoscritto ed altri passanti avevano estratto dalla tasca il cellulare per comporre il numero telefonico dei carabinieri, i litiganti hanno mostrato di non voler regalare ulteriore spettacolo producendosi in fastidiosi e ridicoli finti abbracci e baci. I contendenti erano visibilmente di origine maghrebina, e l’idioma in cui si esprimevano risultava incomprensibile. Non è stato certo il primo episodio avvenuto in zona, e questa mattina al bar il commento scontato era della categoria “sono sempre loro protagonisti”. Settimana scorsa hanno violato la proprietà dei miei suoceri, e buona parte dei vicini si è prodotta nel chiacchiericcio tipico delle comari nel comporre l’identikit vuoi del marocchino vuoi del romeno di turno. Senonchè mia suocera, richiamata dall’allarme, aveva fatto in tempo a scorgere metà banda, i cui tratti somatici parevano decisamente italiani.
I due episodi di cronaca mi hanno indotto a rimuginare. Non tanto sul problema della delinquenza compiuta da non italiani, quanto sull’approccio metodologico condotto dalle persone e dai media nell’indugiare sulle riflessioni in merito. Mi spiego subito: il verbo “indugiare” che ho utilizzato è davvero sarcastico. Indugiare suppone infatti un’azione che comporta un dispendio di tempo, ma in realtà nei giudizi che sentiamo emettere nella vita di tutti i giorni non vi è nessun indugio. La conclusione viene tratta molto spesso simultaneamente all’origine della domanda da rispondere. Esiste il problema della delinquenza da parte degli stranieri? Le risposte sono generalmente simultanee: sì o no. Il “no” è espresso da tutte quelle persone che giustamente aborrono certe poco nascoste diffidenze all’integrazione, e dunque temono la strumentalizzazione dell’ammissione del problema. Il “si” normalmente coincide invece con un sentimento per il quale il termine “straniero” assume una valenza di completa diffidenza quando non una vera e propria ostilità. Parliamoci chiaro: il “no” è tecnicamente la risposta sbagliata. Il problema esiste: l’episodio dei quattro signori al quale ieri ho assistito non è che l’ennesimo di una lunga serie. Inequivocabilmente, rispondendo “no”, si dice una bugia. Si antepone il rischio dell’interpretazione di una eventuale risposta diversa, al fatto di descrivere l’osservazione del vero, senza contare che le responsabilità individuali devono essere attribuite in base all’accaduto e non alla carta d’identità, sia in un verso sia nell’altro. La risposta corretta è quindi sicuramente “si”: il problema esiste. Ma acclarare ciò non significa assolutamente che questo debba essere fonte di pensieri xenofobi. La risposta invece non dovrebbe essere altro che l’origine di ulteriori domande: cosa ha determinato il problema e come si potrebbe risolverlo? Scopriremmo così una serie di concause ad avere determinato la situazione, per le quali andrebbero trovate delle soluzioni da adottare al fine della risoluzione.
Sto dicendo delle assolute e conclamate banalità. Me ne rendo conto, ma se permettete non me ne scuso. Perché anche se lo sono, possiamo tutti renderci conto che in realtà mettere in pratica questo tipo di ragionamento è tutto meno che usuale. Indugiare nel ragionamento non è un qualcosa che vada propriamente di moda. C’è sempre fretta di avere le risposte. Quei ragazzi si sono picchiati, erano maghrebini. Qual è il problema? I maghrebini (risposta veloce). Sentenza: i maghrebini sono cattivi. Bùm, processo istantaneo. Perché mica si può star lì troppo ad analizzare questo e quello, se no si finisce a non prendere mai una decisione. Questo è quello che una certa cultura di oggi ha infuso in tanti. Poi naturalmente c’è il problema del sentimento popolare, che funge da enzima, per così dire, perché la risposta si trasformi immediatamente in sentenza. Il sensazionalismo inseguito dai media ha portato in alcuni frangenti ad una vera e propria identificazione del crimine come unicamente commesso da chi non è italiano, cosa che ovviamente è smentita da ogni logica oltre che dalle statistiche ufficiali. Alla fine tutto si somma e tutto fa brodo. L’osservazione del vero (la rissa era composta da maghrebini) si somma al bisogno di trovare subito una risposta (è colpa loro) e l’”enzima” di cui sopra infiocchetta per bene tutto il ragionamento (sono sempre e solo loro). Se a tutto questo aggiungiamo il vizio tipico della razza umana di sgravarsi l’animo con l’identificazione di un colpevole (i maghrebini sono cattivi), come se ciò risolvesse il problema, il gioco è fatto. Ed anche in questo caso i media sguazzano nel torbido non propriamente con dispiacere.
Poiché lo sport, ed in particolare il calcio, non sono che lo specchio della vita reale, il ragionamento sopra esposto trova né più né meno applicazione anche in tale contesto. Fatto: la nazionale italiana di calcio è stata eliminata facendo brutte figure. Qual è il problema? La risposta completa sarebbe, ovviamente, l’analisi di una serie di concause. Il ct ha evidentemente commesso più di un errore sia in tema di convocazioni sia in fase di gestione del gruppo e delle partite. La fortuna questa volta non è stata dalla parte degli azzurri. Ma, soprattutto, il parco giocatori a disposizione di chiunque avesse allenato l’Italia è estremamente più povero di quattro anni fa: qualcosa, ovvero lo tsunami di farsopoli del 2006, ha demolito la squadra da sempre costituente l’ossatura della nazionale di calcio. Quale è stata invece la risposta veloce, giudizio-sentenza? La colpa è di Lippi. Punto, fine. E certe ributtanti pubblicità con costanti ritornelli fastidiosi che si sentono in televisione continuano ad alimentare questo sentimento. Sorvoliamo sul fatto che se proprio proprio un colpevole bisognava trovarlo, al limite poteva essere chi ha permesso lo scempio del 2006, chi ha ri-messo al suo post il ct che ha fallito, e chi dimostra di non essere preso minimamente in considerazione da Fifa e Uefa, ovvero il presidente Abete. Ma sorvoliamo, dicevamo…
Forse con farsopoli non è successa la stessa cosa? Fatto: Moggi telefonava ai designatori. E fatto (montato per bene dai media): la Juve è favorita dalle decisioni arbitrali. Teorema, giudizio, sentenza: Moggi è il mammasantissima del calcio italiano. E le possibili domande? Chessò, Quante partite sono state taroccate? Come faceva a modificare l’esito di una classifica senza modificava le singole partite? Era reato chiamare i designatori arbitrali? Come si comportavano i dirigenti delle altre squadre? Com’è possibile che la Real Casa e tutti i media più o meno direttamente in suo controllo siano stati i primi e i più violenti ad attaccare la triade? Eccetera, eccetera… Niente, salvo rari esempi. Per utilizzare un termine coniato da Oliviero Beha, tutto nella “discarica Moggi”. Così siamo tutti contenti e le nostre coscienze possono stare in pace.
Come diceva Oscar Wilde, a dare le risposte sono capaci tutti. Ma per fare le domande ci vuole un vero genio. L’oro si trova quasi sempre in profondità, ma se noi ci limitiamo ogni volta a grattare con le unghie la superficie, dovremo accontentarci quando andrà bene dell’acqua, o molto più soventemente della completa aridità senza valore.
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