E’stato il campionato mondiale di calcio delle prime volte. Per la prima volta si è giocato in Africa, la Spagna ha disputato e vinto la finale, una squadra europea ha vinto in un Paese extra – europeo, un’africana è andata così vicina alla semifinale, il Paraguay ha vinto il proprio girone ed ha raggiunto i quarti di finale, la Slovacchia ha partecipato, vinto, pareggiato, perso ed ottenuto la qualificazione al turno seguente, la Nuova Zelanda ha ottenuto il primo punto ed è poi rimasta addirittura imbattuta (unica tra le 32 partecipanti, questa è stata certamente la prima volta più inaudita) e l’Italia è arrivata ultima nel suo girone senza riuscire a vincere una gara. Tutte prime volte positive, tranne l’ultima. Nonostante ciò si può certamente escludere che si sia assistito a qualcosa di nuovo riguardo al gioco. Poche le reti segnate (media di poco superiore a quella peggiore di sempre, registratasi nel 1990), logica conseguenza di molta cautela tattica e di grande accortezza difensiva. Le poche stelle (che forse è più giusto chiamare stelline) non hanno brillato ed il valore delle finaliste è stato certamente inferiore a quello della precedente edizione. La Spagna campione è praticamente la stessa che vinse lo scorso Europeo, nel corso del quale eliminò solo dopo i calci di rigore l’Italia che rispetto al 2006 giocò senza Cannavaro I, Nesta, Gattuso, Pirlo e Totti, oltre ad avere come C. T. Donadoni. Costui, tra i vari sbagli, preferì far entrare Di Natale molto prima di Del Piero neo - capocannoniere, inserito solo in vista degli ormai prossimi calci di rigore (la nemesi rese tutto ciò inutile: proprio l’attaccante napoletano commise l’errore decisivo dal dischetto, passando praticamente la palla a Iker Casillas ed il veneto non potette neppure calciare l’ultimo penalty della serie). Quanto alla Francia, essa eliminò nel 2006 un Brasile ben più forte di quello “sudafricano” ed il suo giocatore più forte era Zidane, che si aggiudicò il Pallone d’Oro di quella edizione davanti a Fabio Cannavaro, mentre quello d’oggi è stato vinto da Forlan che ha preceduto di poco Sneijder. Insomma è stato sicuramente un Mondiale mediocre. Ad ogni modo tra le due finaliste ha fortunatamente prevalso la “Roja”. Essa, pur avendo costruito il proprio successo su una difesa di ferro (ha subìto solo due reti in sette gare, come l’Italia quattro anni or sono), ha mostrato un gioco certamente più votato ad attaccare. Alla Spagna è mancato un “puntero” all’altezza che riuscisse a trasformare in reti le numerose manovre offensive create (Torres, che comunque non è un fenomeno, non era quello del 2008). Mai una squadra aveva vinto segnando così poco, solo l’Argentina finalista nel 1990 realizzò ancor meno, ma quella è stata senz’altro la peggiore compagine che abbia mai disputato una finale mondiale. L’Olanda ha invece fatto vedere più calci che calcio, soprattutto in finale. Non a caso è stata la squadra maggiormente sanzionata con i cartellini. Impietoso poi il confronto tra i tulipani attuali e quelli finalisti del passato. Basti ciò: nel 1974 fu Cruijff ad aggiudicarsi il Pallone d’Oro (quella era proprio un’età aurea del calcio: Johannes lo vinse per la terza volta davanti a Beckenbauer), mentre nel 2010 il principale candidato orange è Sneijder... Il valore mediocre dei giocatori spiega anche il pessimo Mondiale dell’Italia. Il campo non mente, a differenza di quanto alcuni (non pochi purtroppo) pensano. Nella decisiva gara contro un’ordinaria e modesta Slovacchia è stato schierato un tridente composto da Pepe, Iaquinta e Di Natale. Un tempo si avevano a disposizione Domenghini, Boninsegna e Riva (potendo escludere Anastasi e Prati) o Causio, Paolo Rossi e Bettega (con Claudio Sala e Graziani fra le riserve). Non vado più indietro nel passato per non infierire. E’ poi stato sufficiente l’ingresso di un Pirlo menomato perché la squadra migliorasse visibilmente il proprio rendimento. Certo a volte un undici può ottenere risultati superiori a quelli che le sue doti gli consentirebbero, ma questo non può succedere quando il nucleo di esso è composto da calciatori logori e sazi. Lippi forse ha pensato che la solidità del gruppo, fondata anche sull’assenza di primedonne, potesse compensarne lo scadente valore, ma non è stato così e forse questa è stata la sua unica vera colpa. Siamo seri: questa Italia avrebbe potuto vincere questo Mondiale solo a tavolino. Gli azzurri del 1974, l’ultima volta in cui non superarono il primo turno, erano nettamente superiori a quelli d’oggi. Non per niente furono praticamente eliminati da uno squadrone quale era la Polonia dell’epoca cercando di batterla benché ad entrambe fosse sufficiente un pareggio per proseguire il cammino in quel campionato. Quel 23 giugno a Stoccarda l’Italia giocò in modo tanto coraggioso quanto sfortunato, ma soprattutto non andò avanti in un Mondiale a 16 squadre (adesso sono il doppio! Lascio immaginare al lettore quanto possa esserne inferiore la qualità media) per la differenza – reti con l’Argentina favorevole a quest’ultima per un solo goal. In quell’occasione l’Italia ebbe il problema opposto: il valore dei singoli calciatori era buono, il gruppo non esisteva. C’erano invece molti gruppetti. Occorre però, per approfondire meglio, porsi un’altra domanda: come si è arrivati a questa situazione? Anche in questo caso c’è poco da stupirsi. La squadra italiana che dominava nel 2006 non c’è più proprio da allora e quella che da quel momento in poi ha dominato di italiano ha solo il nome (quasi… anti - italiano, per giunta). Marco Civoli è riuscito a dirlo in televisione: è colpa dell’Inter e della Juventus, ma non ha avuto il coraggio di dire la verità fino in fondo e cioè che la colpa è soprattutto di chi, quattro anni or sono, volle che si creasse questa situazione e non si curò delle sue naturali ed inevitabili conseguenze. Un importante politico d’area moderata disse allora che tutto sarebbe finito in una bolla di sapone perché il calcio italiano non poteva permettersi di fare senza la Juventus. Aveva perfettamente ragione sulla diagnosi, ha avuto torto sulla prognosi perché non poteva immaginare che, appunto, il calcio italiano volle fare a meno della Juventus. Non so se vi fu nelle menti di coloro che agirono ai vari livelli durante quella fantastica e sciagurata estate un vero e proprio cupio dissolvi. Probabilmente no perché di calcio poco o punto capivano. Certamente però le decisioni di chi allora era al potere si ispirarono al detto fiat iustitia, pereat mundus. In parole povere: faccio ciò che ritengo giusto fare, indipendentemente dalle catastrofi che possano derivarne. Tuttavia, se di sicuro quel mondo è stato distrutto (anche se pochi tra gli appassionati allora se ne resero conto), sulle macerie ancora fumanti di esso cominciò ad emergere la netta sensazione che non fosse stata fatta giustizia. Alla luce del contenuto di alcune conversazioni telefoniche pubblicate di recente può oggi tranquillamente dirsi che fu anzi commessa un’enorme ingiustizia.
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