Sono passati pochi dalla finale dei mondiali sudafricani. La manifestazione calcistica più importante del mondo ha sancito la debacle totale del football italico. Urgevano provvedimenti e sono arrivati: la FIGC, come la sua storia ci insegna, ha deciso di cambiare una norma sui tesseramenti in corsa, concedendo alle società di tesserare un solo straniero extracomunitario, norma che in realtà dei fatti non cambia di una virgola la situazione che si è venuta a creare, norma pertanto demagogica e inutile, come la presidenza Abete tutta.
L'altro provvedimento è altrettanto tipico di una federazione allo sbando, senza alcun progetto serio, ovvero l'invocazione dell'uomo forte. E' di questi giorni, infatti, la notizia che l'ex codino Roberto Baggio sarebbe forse in procinto di accettare la proposta fattagli dalla FIGC di diventare Presidente del Settore Tecnico.
Devo confidarvi che scrivo quest'articolo senza averci capito nulla. Che vorrebbe dire Presidente del Settore Tecnico? Sarà un allenatore? Sarà un "maestro di calcio", visti gli spaventosi limiti espressi dai nostri pedatori al mondiale? Con quale esperienza ricoprirà quest'incarico? O l'esperienza non è necessaria perché trattasi di inventarsi un ruolo del tutto innovativo in Federazione? E perché la Federazione ha bisogno proprio di Roberto Baggio da Caldogno?
Faccio un passo indietro.
Roberto Baggio è stato un fuoriclasse assoluto, secondo per tecnica di base e velocità di esecuzione soltanto a Diego Armando Maradona; ha avuto una carriera lunga, ma segnata già agli albori da un infortunio gravissimo al ginocchio che rischiò di spezzarla sul nascere. Per questo Baggio è un uomo che ha sofferto e per questo merita rispetto. Ma come tutti gli uomini di buona volontà da quella dura vicenda ha saputo non solo riprendersi, ma addirittura ha gettato le vere basi del suo luminosissimo futuro. A Firenze ha imparato ad essere uomo, a capire il senso della parola "riconoscenza" verso una città ed una società che lo hanno prima aspettato con pazienza e poi amato alla follia, come era capitato forse per un altro grandissimo "dieci" viola, Giancarlo Antognoni. E come tutti i grandi amori anche quello finì in dramma con la cessione per sedici miliardi alla odiatissima Juventus.
Il capitolo bianconero fu decisamente meno romantico di quello viola. A Torino Baggio arrivò non certo come il Messia; piazza dal palato fine, quella bianconera, che ancora ricordava le gesta di Le Roi Michel Platini o addirittura quelle di Omar Sivori. Passare da essere idolo assoluto a gran calciatore ma che tutto aveva da dimostrare fu un passo lungo e difficile da compiere.
Il rifiuto di calciare il rigore contro la Fiorentina, la sua Fiorentina, proprio a Firenze, con annessa raccolta della sciarpa tiratagli da un suo ex tifoso, fu il gesto che divise per sempre gli juventini in pro e contro Roberto Baggio.
Non bastarono più le infinite prodezze sul campo, la fascia di capitano e il pallone d'oro conquistato dopo aver condotto la Juve a vincere la sua terza Coppa UEFA. Anche perché quella coppa non valeva lo Scudetto o la Coppa dei Campioni; anche perché Baggio aveva una certa tendenza a "nascondersi" nei match importanti, mentre non lesinava prestazioni sublimi contro squadre di rango inferiore.
Se ne andò dalla Juve pragmatica e vincente della Triade non senza rancore, fra il dispiacere di chi, come il sottoscritto, lo aveva amato intensamente e la soddisfazione di chi invece non lo amò mai e che vide in Del Piero tutto ciò che juventinamente lui non era mai stato.
Leader non lo fu mai in campo; troppo timido, troppo "per bene" per poter essere necessariamente un duro coi compagni e con l'allenatore. Ciò nonostante, difficilmente fu amato dai suoi tecnici: Trapattoni, in evidente rincoglionimento tattico, lo vedeva trequartista; Lippi lo vedeva al massimo riserva di Del Piero, in quanto troppo poco incline alla fase difensiva; Sacchi lo vedeva seconda punta, che poi era il suo ruolo naturale, ma lo oberava di incarichi tattici che ne limitavano la fantasia straordinaria; Capello lo odiava e Cesare Maldini non credette fino in fondo in lui al mondiale francese.
Trovò armonia con Eriksson, uomo pacato e capace di parlare coi suoi giocatori, con Maifredi che trovò nel suo estro risposte e soluzioni ai suoi "nonsense" tattici e soprattutto Carletto Mazzone, straordinario uomo di campo, che conosce il calcio e i calciatori come pochi al mondo.
Perchè questo lungo excursus nella carriera di un fenomeno?
Per chiedermi, e chiedervi, se mai Roberto Baggio da Caldogno possa veramente essere l'uomo del rilancio di un intero movimento calcistico, oppure se rischi di diventare un Albertini qualsiasi, ovvero il solito ex calciatore al quale una giacca da dirigente non si può rifiutare, ma che nulla aggiunge ad un movimento perchè nulla vale.
Cosa dovrà fare Baggio in seno alla Federazione? Quali decisioni dovrà prendere in quanto responsabile di un settore tecnico? Quali teste dovrà tagliare per permettere al movimento calcistico italiano di ritrovare competenza prima e qualità di conseguenza poi? Ma soprattutto: ne avrà le capacità? Riuscirà un uomo troppo "per bene" ad avere il necessario "pelo sullo stomaco" per imporre i suoi metodi e le sue idee? Oppure troverà una serie di Lippi, Sacchi e Capello a sbarrargli inesorabilmente il cammino? Sarà il fuoriclasse dalle serpentine imprendibili, dalle punizioni millimetriche, oppure il "coniglio bagnato" di Gianni Agnelli?
Insomma: sarà un miraggio, oppure sarà Roberto Baggio?
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