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Articolo di F. DEL RE del 05/07/2010 17:04:39
Noi, Juventus. Le Roi Michel

 

Era l'Anno di Grazia 1982, quando all'età di otto anni rimasi folgorato dalla passione unica e prepotente per il calcio. Ciò avveniva grazie all'Italia Campione del Mondo ed in particolar modo grazie ai sei straordinari campioni bianconeri che furono fondamentali per ottenere quell'impresa. E la loro appartenenza fu fondamentale anche nella scelta di quella che sarebbe stata la mia squadra del cuore: La Juventus. Fu amore a prima vista; amore assoluto, inscalfibile per quelle bellissime maglie a striscie bianche e nere, nonostante la "pressione indebita" del mio babbo che aveva appeso in cameretta il poster della Fiorentina 1981/'82.

Finito in maniera trionfale il "Mundial", iniziava la mia personalissima prima stagione di calcio: era una scoperta straordinaria e costante di un nuovo mondo, della mia amata Juve e delle sue rivali: la Roma di Bruno Conti, la Fiorentina di Antognoni e Graziani, l'Inter di Oriali, Collovati e Altobelli, il Torino di Zaccarelli; e poi le matricole stupende: Sampdoria, Verona e Pisa; la provincia con le storie straordinarie di Ascoli e Avellino; una Serie B prestigiosa grazie a Milan, Lazio e Bologna. Iniziava un sogno, una storia d'amore bellissima che si sarebbe irrimediabilmente corrotta nel maledetto Anno 2006...

E poi c'erano gli stranieri: il Calcio dei Campioni del Mondo avrebbe avuto la possibilità di tesserarne due per club; i migliori calciatori dei due mondi, per rendere la Serie A italiana come l'NBA del football mondiale; una goduria vera per un neo appassionato. La Roma aveva il divino Falçao e Prohaska; la Fiorentina gli stupendi "Gauchos" Bertoni e Passarella; l'Inter Juary e Muller; il Verona Dirceu; la Samp l'ex Brady, la cui storia bianconera mi veniva raccontata da Giorgio il barbiere; il Napoli Krol; e la mia Juve? Chi aveva la squadra più Campione del Mondo di tutte le altre? Aveva ingaggiato Zibì Boniek, polacco di grande corsa e doti tecniche di assoluto livello ed un francese atipico che si diceva avesse letteralmente stregato l'Avvocato Agnelli, che per lui rinunciò ai servigi dell'ottimo Brady; si chiamava Michel Platini. Un francese col cognome italiano, che coniugava nel suo carattere gli stereotipi caratteristici di entrambe le terre a cui apparteneva: simpatico e arguto come un italiano, altezzoso e ironico come un francese; ma intelligente: di un'intelligenza superiore, senza nazionalità, nella vita come su un campo da calcio.

Al'inizio stentò, a causa di una fastidiosa pubalgia, ma nel girone di ritorno esplose in maniera fragorosa e fu subito amore: della Juve dei Campioni il mio idolo sarebbe stato il suo numero dieci, quel francese col nome italiano, coi calzettoni sempre abbassati, con la maglietta rigorosamente fuori dai calzoncini, con quella capigliatura elegantemente arruffata, con quella corsa un pò strana, col sedere all'infuori ed il busto immobile, unica ed inimitabile come da caratteristica dei grandissimi di sempre. Fu più che un amore: fu mania; giocavo al campetto delle suore di Campo Tizzoro con i calzettoni calati alle caviglie, con la maglietta di fuori ed invidiavo Matteo, mio carissimo amico d'infanzia, perchè aveva i capelli ricci ed il sedere all'infuori e più di me poteva assomigliare al grande Michel; ci comprammo le scarpette della Patrick, come il nostro eroe, e la maglia della Juve da indossarsi regolarmente fuori dai calzoncini.

Furono gli anni più belli della nostra vita, quelli scanditi dalla presenza di Platini alla Juve.

Ma l'amore non è cieco: amavamo alla follia Michel per quello che ci faceva vedere sul campo e per quello che ci raccontava in TV.

E allora raccontiamolo, Michel Platini, con un parallelo fra il calciatore e l'uomo.

Il Platini calciatore è stato, senza ombra di dubbio alcuna, il più grande numero dieci della storia: Pelè, Sivori, Crujiff, Zico, Maradona; e poi Roberto Baggio, Del Piero, Totti e Messi sono stati, sono e saranno fantastici fuoriclasse, ma sono stati, sono e saranno, come Michel ci insegna, dei fantastici nove e mezzo, straordinario neologismo per identificare il "dieci atipico", quello che non è al servizio della squadra, ma il contrario; quello che non è né punta, né regista, né ala, ma un talentuoso la cui collocazione in campo è sempre problematica, nonostante la classe conclamata.

Platini, no. Lui era dieci vero, regista della squadra, colui che detta i tempi della manovra, che trova da sé la posizione giusta in campo, che lancia l'ala sulla fascia, che sforna l'assist perfetto per il centravanti ed all'occorrenza va anche in gol, specialmente col suo indelebile marchio di fabbrica: le punizioni, calciate in ogni modo e da ogni angolazione. Fantasia e talento, classe e intelligenza.

Non ho mai visto giocare Valentino Mazzola, Di Stefano o Rivera, altri immensi numeri dieci, ma le statistiche parlano per me e per il mio idolo: mai si è visto, e mai si rivedrà più, un regista di centrocampo di tale immensa qualità e quantità che abbini a queste doti anche medie realizzative degne di un centravanti di razza: tre volte consecutive capocannoniere nel campionato italiano; capocannoniere dell'Europeo vinto nel 1984; record di gol segnati nella nazionale francese; tre volte consecutive pallone d'oro.

Come lui, o meglio: colui che si è più avvicinato alla "summa" calcistica di Michel, è stato un altro immenso francese juventino: Zinedine Zidane; più potente fisicamente, più elegante nell'accarezzare la palla; più "Campione del Mondo", ma decisamente meno continuo, meno forte in regia, infinitamente meno capace in fase realizzativa. Dovessi scegliere, negli "undici" di tutti i tempi della Juve e della Francia, Zidane sarebbe sempre l'ottima riserva di Le Roi.

Che altro dire sul Platini calciatore? Andatevi a rivedere il gol che realizzò nel 1983 in un Juventus-Ascoli 5-0. Basta e avanza...

Platini fuori dal campo è stato degno contraltare del Platini calciatore: ironico, divertente, profondo, capace di analisi lucide e di riflessioni filosofiche; nella vita juventina fu degno contraltare dell'Avvocato Gianni Agnelli, l'unico col quale poteva darsi dialetticamente del "Tu"; come dopo un Italia-Francia, amichevole giocatasi a Napoli nella quale Platini infilò Zoff con una delle sue leggendarie punizioni; l'Avvocato, che già aveva deciso di acquistarlo, gli telefonò per commentare la prestazione; disse: "Lei ha giocato decisamente bene il primo tempo. Male il secondo". E Michel: "Il secondo, meno bene"... Campione del calcio come della vita.

Straordinaria fu anche la riflessione dell'Avvocato sull'acquisto di Michel: "Lo abbiamo pagato un tozzo di pane, ma lui ci ha messo su il patè de fois gras".

Ho scritto molto, forse troppo, anche se in realtà sarebbe necessario scrivere un intero saggio sulla figura di Michel Platini. Ma tant'è; è stato un tuffo nel passato, un tuffo al cuore di un innamorato disilluso dalle vicende attuali.

E per piacere nessuno attacchi con la storia di Platini che "da Presidente dell'UEFA, lui juventino, avrebbe dovuto prendere posizione su Farsopoli..." che non ne ho proprio voglia. Lasciatemi stare la Poesia, per favore; lasciatemi stare coi miei dolci e malinconici ricordi.
 
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