Ho sempre avuto una grande ammirazione per quei giocatori che riuscivano a raggiungere grandi risultati senza essere dotati di classe innata, solo col sudore che gronda dalla fronte. Alessandro Birindelli ha, sicuramente dato prova di essere un giocatore così, juventino nell'anima. Arrivò alla Juventus senza troppi squilli di trombe, non aveva fama di essere il fenomeno che tutti i piccoli tifosi desideravano, sebbene fosse stato partecipe di anni stupendi all'Empoli, conquistando due promozioni consecutive dalla C1 alla A. Neo promosso in A fu acquistato dalla Juventus e subito si conquistò il posto da titolare in una Juventus che dimostrava sempre più la sua potenza. La sua intensità in campo e la tecnica costruita duramente in allenamento mi affascinò sempre ed era difficile notare cali di concentrazione durante le sue partite. Subito entrò nella gloria: Supercoppa italiana e scudetto.
Era difficile trovare una maglia indossata dai tifosi con il suo nome. Troppo lungo. Ma, senza dubbio, entrò subito nel cuore dei tifosi. Il suo carisma, il suo lavoro sporco, la sua disciplina aiutò la Juve per tanti anni, undici, e questo convinse anche i più scettici che si possono acquistare tanti campioni e talenti mondiali ma, senza i giusti minatori che lavorano nell'ombra, era difficile in quegli anni vincere. E di campioni ne vide tanti in spogliatoio, forse tutti. Eppure dimostrò sempre di essere un faro importante per tutte quelle navi che attraccavano a Torino, dimostrò sempre di portare con sè tutta la storia, i campioni passavano, lui restava. Di fronte a Dida non sbagliò il rigore più pesante della carriera, di fronte al mondo diede dimostrazione di come si affronta la vita e che orgoglio può dare indossare il bianco e il nero, anche nella sconfitta.
Vinse, con noi, cinque scudetti in A e si prese la squadra sulle spalle quando cercarono di distruggerla in B come un vero condottiero, da vice capitano. Mai sugli scudi a reclamare gloria e onori, sempre nel fango a dare l'esempio. Insomma, un vero idolo per me che ancora mi commuovo della poesia del calcio passato. Quel calcio epico che hanno stuprato e sgozzato.
Ricordo il suo addio dalla Juve, senza luci, senza lacrime; poco prima aveva ribadito al (bel)paese quale dolore gli aveva arrecato il tentato omicidio alla sua carriera. Urlandolo al pianeta: "la ragione è una sola, noi eravamo i più forti!" Urlando forte, come quando mi fece saltare in piedi al suo golazo contro il Deportivo, tutto precisione e potenza. All'incrocio.
Ad un uomo così la gloria e l'onore gli scorre nel sangue. Per sempre.
di VENTINOVE |