Il primo amore non si scorda mai. Io non lo scordo di certo. L'ho incontrata tardi, al contrario dei miei coetanei, per tanti motivi ma fu proprio il classico colpo di fulmine.
Era una sera dell'estate del 1990 e in casa c'era un gran trambusto: si festeggiavano un paio di compleanni, tornavo in italia dopo tanti anni all'estero e si attendeva una importante partita alla televisione. Non avevo mai visto una partita di calcio e ricordo che guardai a quella partita con lo stesso sguardo curioso e stupito del ragazzino di fronte alla novità. Giocava l'Italia e ricordo che si parlava tanto di due giocatori che avrebbero giocato insieme per la prima volta con tanti dubbi e perplessità: Roberto Baggio e Totò Schillaci.
Fu una partita affascinante. I due giocarono una partita veloce e brillante; facevo fatica a seguire i movimenti e non conoscevo nemmeno tutte le regole ma rimasi entusiasta. Quella sera fecero urlare tutta la casa e io pensai che dovevano essere proprio i messia scesi sul campo di gioco a elargire beni e sorrisi. Uno a testa. Finì 2-0 per l'Italia, Cecoslovacchia battuta.
Il giorno dopo convinsi mio nonno, tifoso esperto del Bologna d'altri tempi, a portarmi in città e a comprare un pallone per giocare in giardino e mi accompagnò. Per tutto il viaggio dovette sorbirsi le mie domande sul calcio e sulla nazionale, andata e ritorno, ma non sembrava molto entusiasta come me, anzi, era molto silenzioso. Io non pensavo ad altro, con l'insistenza del bimbo di 10 anni, e giocai tutto il giorno immaginandomi di essere Baggio, quando dribblavo l'aria, e Schillaci, quando tiravo al muro. Non sapevo che potessero giocare in un'altra squadra, non sapevo nulla, per me c'era solo la nazionale. Finché, giunta l'ora di andare a dormire, ricordo, non trovai sul piccolo comodino vicino al letto un giornaletto tutto bianco e nero...allora capii. Non so tutt'ora chi me lo regalò, nessuno se ne prese mai i meriti, e le mie sono solo supposizioni ma è il regalo ricevuto che ricordo con più commozione. Capii che non esisteva solo la nazionale ma tante squadre che giocavano contro, tante squadre con tanti campioni, ma in assoluto una che accoglieva i miei eroi, una sola squadra che faceva da vivaio per la nazionale.
Il passaggio fu naturale. Allora capii che c'erano altri campioni, stranieri a volte, che giocavano in altri paesi ma che poi venivano in Italia a difendere quei due colori; capii che gli italiani non erano sempre ben visti, anzi, venivano elogiati quando indossavano il blu per poi venir insultati quando vestivano il bianco e il nero; capii cosa vuol dire difendere una maglia e quanto coraggio ci vuole. Mi aiutò tantissimo pensare a loro quando mi confessai per la prima volta a scuola.
Non ho mai saputo chi cominciò tutto regalandomi quel giornaletto, ma so per certo che ogni natale passato da quel giorno (tutt'oggi) trovo, sotto il Presepe, un gadget juventino e un biglietto scritto con la grafia di mio nonno.
di Marcheselli Giacomo (VENTINOVE) |