I ragazzi stavano finendo l'ultimo allenamento prima del grande giorno. Sicuramente, se i pensieri avessero potuto far rumore, sul campo ci sarebbe stato un frastuono assordante. Ognuno pensava alla partita del giorno dopo: solo una settimana prima erano un gruppo di giocatori clandestini di football, conosciuti soltanto nel sottobosco urbano di quello sport giocato tra capannoni abbandonati e stazioni delle linee sotterranee. Ora invece stavano per affrontare i Campioni Nazionali, avrebbero giocato in uno stadio vero, ripresi in Olo-vision. “Ehi, ma dite che domani dovrei lasciarmi i capelli sciolti o farmi il codino?” chiese Pauli al gruppo dei compagni; le sue parole erano un goffo tentativo di stemperare l'ansia che gravava su tutti, ma strapparono comunque più di un sorriso agli altri. “Cioè, ragazzi, volete mettere? Milioni di ragazze davanti alle Olo-tv che rimarranno affascinate dal mitico Pauli, l'angelo del football...” “Sì, resteranno affascinate a vedere con quanta classe salirai sul furgone blindato dopo la partita, per essere portato in gabbia!” ribattè Mojo tra le risate generali. “Beh, ragazzi, ma volete mettere? Finalmente avremo tutti una bella divisa sociale... una bella tuta arancione per ciascuno, con tanto di numeri” continuò Alf. “Già, la divisa... ehi, angelo del football... ma non pensi che le tue fans ci resteranno male a vedere gli altri belli nelle loro divise, e noi vestiti come una banda di straccioni?” riprese Mojo. In silenzio, tra le risa grossolane degli altri, Nick si alzò in piedi. Poi disse, timido: “...ragazzi... volevo proprio parlarvi di questo, stamattina... dovreste venire un momento con me al vecchio magazzino dei miei...” "...sono in questo baule... Mio nonno le conservava qui da quando le aveva prese nella sede il giorno che successe il casino... No, cioè, non che le avesse rubate, lui lavorava lì, e mi raccontava sempre che le aveva portate via come per "salvarle", ecco..." Nick aprì lentamente il baule, quasi con devozione. Al suo interno, sotto fogli di carta stropicciati, si trovava un involto pesante. Con l'aiuto degli altri lo tirò fuori, e lo aprì sul pavimento come se si trattasse di un reperto archeologico delicato, di un oggetto prezioso e sacro. Al suo interno, ordinatamente piegate una per una, come dalle mani della vostra zietta pignola quando fa il cambio di stagione nel guardaroba, undici maglie. Ma non maglie qualunque. "...ho pensato che nonno, se fosse ancora vivo, sarebbe orgoglioso se le usassimo per questa partita..." disse timidamente Nick. Le undici maglie erano le maglie ufficiali di una squadra di football, proprio di quella squadra che per ultima aveva ceduto al Regime rendendo necessario il suo scioglimento con la violenza. I ragazzi rimasero senza parole. Roy, ripensando ad una macchia di sangue sul pavimento e ad un sogno di bambino, si lasciò sfuggire una lacrima. Lentamente, con infinito rispetto, i ragazzi presero tra le mani le maglie che, anni prima, erano state indossate da quei mitici campioni. La voce di Roy risuonò nella cantina: “Pauli, tu prendi questa.” E gettò la maglia che teneva in mano al ragazzino; questi, dispiegandola, vide che portava sulla schiena il numero 10, quello che indossava abitualmente il capitano della squadra. In quel momento anche uno sbruffone inveterato come Pauli sentì che una lacrima gli stava sfuggendo inesorabilmente dagli occhi. Per un attimo si sentì come, secoli prima, dovevano probabilmente sentirsi i cavalieri medievali all'atto dell'investitura. Non disse nulla. Forse perchè non riusciva, forse perchè non c'era nulla da dire. Si avvicinò a Roy e l'abbracciò.
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