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          PRESSING.... Farsopoli a puntate

Articolo di L. BASSO del 27/03/2011 11:30:24
Kick it! 22- DEEP SILENT COMPLETE

 

Ci sono momenti in cui il mondo intero sembra fermarsi intorno a te.
In cui tutto sembra congelarsi in quel preciso istante nel tempo, mentre l'unico suono è quello del tuo cuore che batte.
I pensieri ti affollano il cervello, e più cerchi di mandarli via per trovare la concentrazione, più loro ritornano a fare il girotondo nella tua testa.
Questo era Roy, fermo sulla linea di porta, con le ginocchia piegate e gli occhi fissi su quell'uomo davanti a lui.
Un uomo.
Un pallone.
Undici metri.
Un altro uomo.
Null'altro.

Patty stava in piedi davanti alla panchina, stringendo i pugni fino quasi a farsi penetrare le unghie nei palmi. Ma non sentiva dolore. Sentiva invece una strana sensazione, qualcosa che dalla pancia saliva fino alla parte più nascosta del suo cervello, fino al suo inconscio.
Involontariamente le sue labbra si schiusero, e la ragazza si sentì sussurrare: “...a sinistra...”.
L'attaccante stava per prendere la rincorsa, quando improvvisamente Roy sentì un impulso dentro di sé. Cercò con lo sguardo la propria panchina, e vide Patty in piedi. La ragazza, come rispondendo ad una muta domanda, con un cenno della mano indicò il lato sinistro della porta, quello alla destra di Roy. Poi richiuse la mano, e sentì dentro a quella il calore umido del sangue, che usciva da quattro piccole incisioni a mezzaluna.

Il segnale sonoro indicò che tutto era pronto. L'attaccante prese la rincorsa e calciò il pallone.
Roy si tuffò verso la sua destra, come gli aveva suggerito la sorella di Pauli.
La buona notizia era che il pallone era stato calciato proprio in quella direzione, Patty ci aveva preso ancora una volta.
La cattiva notizia era che in porta non c'era Sal. E neppure un qualsiasi altro portiere nel fiore degli anni ed in piena forma. C'era un quarantenne fuori allenamento che in una frazione di secondo capì che la sua mano non avrebbe mai raggiunto il pallone, calciato con una traiettoria perfettamente angolata.

Poi, mentre il tuffo di Roy terminava sull'erba sintetica, quel rumore.
Metallico, inatteso.
Il pallone che colpisce la base del palo, e rimbalza verso l'interno, verso le mani di Roy che lo accolgono, quasi incredule.

Il portiere si rialza, stringendo tra le mani quel pallone come forse migliaia di anni prima un barbaro delle montagne avrebbe stretto la testa mozzata di un nemico.
Un primitivo ed incontestabile simbolo di vittoria, con quel trofeo mostrato al pubblico da quelle mani salde che lo sollevano con orgoglio sopra la testa.

Poco più di due minuti alla fine della partita.
Il rinvio di Roy è potente, e la palla supera la metà campo, accompagnata dall'ennesimo urlo d'incitamento rivolto ai propri ragazzi. Poi il portiere rivolse lo sguardo verso la tribuna, dove incrociò per un secondo gli occhi di un uomo, nonostante la notevole distanza.
Lassù in tribuna Estevel, sotto lo sguardo acido del Console, era ancora in piedi ad applaudire l'amico.

Entrati nell'ultimo minuto di gioco, è Push che prova l'ennesima discesa sulla fascia; salta agilmente l'uomo e va sul fondo: da lì pennella un cross preciso per la testa di Alf, ma il difensore centrale avversario salta in anticipo e mette il pallone fuori area.
Pauli si avventa come un rapace su quella respinta, e in un attimo capisce che non può cercare un nuovo passaggio per gli uomini in area: la difesa sta già salendo per far scattare la trappola del fuorigioco. Né può cercare di entrare in area palla al piede.
Il ragazzo carica il tiro: la traiettoria è precisa, supera la mischia di uomini e si abbassa improvvisa verso l'angolino destro della porta.
Ma l'urlo di Pauli rimane strozzato in gola: la mano guantata del portiere arriva là dove sembrava impossibile e toglie quel pallone dall'angolo dove sembrava ormai destinato, deviando la sua traiettoria quel tanto che basta per spedirlo in calcio d'angolo.

Roy soffoca a fatica una bestemmia, poi si volta a guardare lassù sul tabellone le due cifre luminose di colore rosso che indicano lo scorrere dei secondi dell'ultimo minuto.
Trenta secondi alla fine.
Ventinove.
Ventotto.
La voce di Roy che parla a se stesso è ferma, quasi senza emozione: “E' ora”
 
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