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Articolo di G. FIORITO del 25/06/2011 08:10:19
Tutta colpa di calciopoli.4° Verso i 100 anni

 

Il ventiduesimo scudetto sancì la fine di un ciclo, il primo ciclo juventino di Trapattoni. Iniziò per la Juventus un digiuno di vittorie durato quattro anni, che si protrasse addirittura per nove in campionato. L'allenatore italiano più vittorioso a livello di club aveva vinto con la Juventus tutto quello che c’era da vincere, eppure aveva indissolubilmente legato il suo nome a un’idea difensivistica e catenacciara del calcio, supportata da critici eminenti quali Tosatti, che così si espresse quando gli toccò allenare la nazionale. Il concetto sarebbe quello di prendere un goal in meno dell’avversario, ma rivedere le partite aiuta a capire, per quel poco che possa valere il mio giudizio di amante appassionata della Juventus e non di esperta di calcio, che un’ottima compagine affidabile e intelligente in tutti i reparti, disposta anche al sacrificio, arricchita di fuoriclasse, può permettersi di schierare anche quattro punte. Come nella citata Juventus Manchester del 1984, con in campo contemporaneamente Vignola, Platini, Rossi e Boniek titolari. Equilibrio, classe, spirito di collaborazione furono le armi vincenti di quella Juventus indimenticabile e sublime. Anch’io conclusi un ciclo. Lo sconforto per non essere riuscita fisicamente a sopportare lo stress degli esami di storia della musica mi trascinò in giardino a strappare i libri. Decisi di smettere di studiare. Insegnai per un anno in un corso comunale di educazione musicale per i bambini delle scuole elementari. Iniziò a tormentarmi la tachicardia. La definirono “distonia neurovegetativa con particolare estrinsecazione circolatoria e digestiva”, praticamente depressione. Attacchi brevi, poi sempre più lunghi. E interminabili mesi e anni nei quali non riuscivo a controllarla. Ipotensione. Ansia. Paura di morire. Crisi di panico. Un inferno invalidante lungo quattordici anni. Mia madre e il mio fidanzato decisero di sposarmi. Non volevo. Non volevo che la mia vita finisse dentro un matrimonio. Desideravo essere soprattutto indipendente, trovare un lavoro. Mi resi conto che quello che avevo sempre sospettato era vero: malgrado gli sforzi non ero mai riuscita ad innamorarmi del mio ragazzo. Il suo modo di stare insieme non corrispondeva a ciò che desideravo da un uomo. Il suo modo di essere non era in sintonia con il mio. Quando aveva finito il militare, aveva deciso una volta per tutte di stare con me e io lo avevo assecondato più che altro per un desiderio di rivincita. Avevo sofferto molto anche a causa sua. Ho sempre vissuto come una percezione di infelicità l’abbandono, dalla morte di mio padre. Mi disse che se non lo avessi sposato mi avrebbe lasciato. Aveva detto la stessa cosa per convincermi ad andare a letto con lui. Chiamasi ricatto e non è la base migliore su cui costruire un futuro insieme. Per me era solo un prezzo da pagare per non restare sola. Inoltre il matrimonio mi sembrava una cosa troppo definitiva. Il tunnel dal quale non si può uscire più. Una trappola. Anche perché ho sempre avuto paura del giudizio di Dio e Dio su questo punto sembra essere estremamente chiaro. Ma mia madre accumulava corredi e il mio fidanzato cercava casa e riuscì a trovarla. Pensarono ai mobili, alla cerimonia, alle bomboniere, senza dimenticare nessun dettaglio. Tutto in regola, con enormi sforzi economici che non so come riuscimmo ad onorare, continuando a pagare numerose rate anche dopo il fatidico giorno. A 48 ore dalle nozze inventai una scusa per sbattere in faccia al promesso sposo i documenti relativi alle nozze. Non si convinse a lasciare perdere. Mi sembrò una cosa troppo terribile abbandonarlo dinanzi all’altare e lo sposai, nonostante fossi tormentata dal ricordo della monaca di Monza e di un libro di Dino Buzzati che avevo letto qualche anno prima, Il deserto dei Tartari. Ero riuscita a strappargli la promessa di non avere figli per un paio di anni, nel corso dei quali mi sarei impegnata a trovare un lavoro. Vinsi un concorso per un corso di operatore al restauro degli edifici storici e monumentali. Lo stesso giorno appresi che aspettavo un bambino. Erano passati solo quattro mesi dal “sì”. Era il 1989. Nel 1990 venne inaugurato lo Stadio delle Alpi e l’avvocato Chiusano subentrò a Boniperti alla presidenza della Juventus che, allenata da Dino Zoff, conquistò la Coppa Italia per l'ottava volta e la seconda Coppa UEFA. Nel doppio confronto della finale la Juventus si impose per 3 a 1 sulla Fiorentina di Roberto Baggio, con le reti di Galia (J) al 3'; Buso (F) al 12'; Casiraghi (J) al 59'; De Agostini (J) al 74'. La partita di ritorno si concluse 0 a 0. La formazione era: Tacconi, Napoli, De Agostini, Galia, Brio, D. Bonetti, Aleinikov, Rui Barros, Casiraghi, Marocchi, Schillaci. Allenatore: Zoff. L’anno seguente Montezemolo volle più che altro una nuova immagine e affidò a Luigi Maifredi la panchina della squadra bianconera, affinché concretizzasse la campagna pubblicitaria denominata “Juventusiasmante”. Arrivò tra gli altri Roberto Baggio. Ora la filosofia del calcio predicata dal Milan di Sacchi era che si dovesse fare un goal in più dell’avversario. Il secondo posto raggiunto al termine del giro di boa del campionato si disintegrò in un settimo che significava la perdita del palcoscenico europeo e dei suoi introiti. La finale di Supercoppa Italiana naufragò nella figuraccia al San Paolo contro il Napoli, che in un eccesso di storia del pensiero ci rifilò un 5 a 1. Non andò meglio in Coppa delle Coppe, dove fummo eliminati in semifinale dal Barcellona. Un po’ di logica impose il ritorno di Trapattoni. La Juventus vinse la sua terza Coppa UEFA nel 1993. Record che condivide con l’Inter, ma essendo stata la prima squadra a raggiungere tale traguardo, nella finale della competizione vinta con maggior scarto di reti. Andata: Borussia Dortmund 1 Juventus 3, marcatori: Rummenigge (B) al 2'; D. Baggio (J) al 26'; R. Baggio (J) al 31'; R. Baggio (J) al 74'. Ritorno: Juventus 3 Borussia Dortmund 0, marcatori: D. Baggio (J) al 5'; D. Baggio (J) al 42'; Moeller (J) al 65'. Formazione: Peruzzi, Carrera, Torricelli, De Marchi, Kohler, Julio Cesar, Galia, D. Baggio, Vialli, R. Baggio, Moeller. Roberto Baggio si aggiudicò il Pallone d’Oro. Non mi piace contestare un fuoriclasse della sua grandezza. Che ho apprezzato per il suo carattere singolare nonostante il dispiacere per qualche gesto tanto rispettoso della tifoseria viola quanto offensivo dei nostri colori, che vestiva. “Codino” ha significato molto per la Juventus, contribuendo ad essere il fulcro di una rinnovata serie di vittorie. Vorrei che anche lui se ne ricordasse più spesso. Anche se la sua cessione fu orchestrata per monetizzare, secondo un copione recitato più volte dai dirigenti bianconeri. Con il matrimonio la mia vita di reclusa si modificò solo per l’arrivo di mio figlio. Il bambino più bello e buono del mondo. A lui ho dedicato per diciotto anni tutti i miei pensieri e le mie azioni quotidiane, senza mai pentirmene, poiché semplicemente mi era impossibile farne a meno. Volevo essere io, con i miei occhi a seguire i suoi progressi e a vederlo crescere, giorno dopo giorno, attimo dopo attimo. L’ho fatto con amore e cercando nel contempo di non legarlo troppo a me. Devo esserci riuscita, se è andato a fare l’università all’estero, dove desidera anche creare il suo futuro. L’amore per mio figlio mi guarì per tre anni, al termine dei quali il bisogno di mio marito di svincolarsi dal lavoro dipendente e di creare un’attività in proprio mi provocò un forte stato di stress che mi fece ricadere nel baratro della depressione. La situazione fu aggravata da mia madre e mio fratello. Con il secondo si fece in fretta a tagliare i ponti. Ero ancora incinta quando con una sua fidanzata, a causa di un litigio al veleno rischiò di farmi perdere il bambino. Non si presentò del resto per conoscerlo, quando appena nato fu vittima di un’insufficienza respiratoria molto grave che ci fece temere il peggio. Per completare l’opera lasciò vuoto il posto al ristorante dopo il battesimo che avrebbe dovuto vederlo in qualità di padrino. Nonostante tutto vennero a vivere in un appartamento al piano inferiore rispetto al mio, comportandosi per anni da padroni in casa mia. Mio fratello bevendo, ascoltando musica e procurandomi bollette telefoniche astronomiche. Mia madre evitando accuratamente di fare la spesa se non nel mio frigorifero, lavando la sua biancheria nella mia lavatrice, infilandosi in tasca i soldi che trovava nel mio borsellino o dovunque ve ne fossero. Soffrivo, ma provavo molta pena nel continuare a vedere che mio fratello, al quale lavorare piaceva sempre meno, riusciva ad approfittarsi dell’intera sua pensione e del suo magro stipendio di collaboratrice domestica. Un giorno tornavo dal supermercato e fui aggredita e presa a pugni da una conoscente dalla quale si era fatta prestare dei soldi che non aveva restituito. Cosa che aveva fatto anche con la mia migliore amica, adducendo la scusa che sarebbero serviti a me e facendomi perdere l’amicizia di quella ragazza, che non volle mai credere che non era vero. Un’altra volta trovai la mia auto ammaccata e capii che era stato il solito avvertimento del solito usuraio. Toccai il fondo quando decise di andare a vivere con mio fratello e una sua ragazza per aiutarli a crescere la figlia di lei, specificando per far loro da cameriera come l’aveva fatta a me per quattro anni. Ne nacque un litigio furioso e ci picchiammo. Giurai che l’avrei uccisa se mi fosse ricapitata davanti ripetendo queste e altre calunnie. Non l’ho più rivista, anche se ha trovato comunque il modo di farmi stare ancora male. Per esempio non aprendomi la porta di casa e fingendo di non esserci una volta che ero andata a trovarla. C’è stato un tempo in cui l’ho amata e mia madre era per me la cosa più importante che avessi al mondo, ma io per lei non sono mai stata niente altro che un’intrusa colpevole di essere nata femmina. L’ho odiata, ho avuto incubi nei quali la massacravo. Oggi per lei provo pietà. Mio fratello mi è indifferente, come se non fosse mai esistito. La donna che convive con lui e ha avuto da lui un figlio ha cercato di farci riavvicinare, ma le bugie che mia madre le ha raccontato sono state un ostacolo enorme. Del resto non hanno nemmeno accettato un invito a casa mia, ma hanno tentato di incontrare mio figlio senza che io fossi presente. Mi dispiace per il bambino al quale hanno messo il nome di mio padre, ma io ho paura di ricadere a causa loro nelle mie crisi. E’ proprio vero che le persone non cambiano e che l’unico modo per non farsi distruggere è tenersi lontani. Anche se sono tua madre e tuo fratello. Anzi, proprio per questo. Nel 1994 alla guida della Juventus subentrò la “Triade”, formata da Antonio Giraudo, Roberto Bettega, Luciano Moggi. L’allenatore Marcello Lippi rinforzò difesa e centrocampo, volle una squadra forte fisicamente e atleticamente e la armò del celeberrimo attacco a tre punte, il tridente. La Juventus vinse subito lo scudetto (1994-‘95), dopo nove anni. Arrivò la nona Coppa Italia e un’altra finale UEFA, persa con il Parma nel doppio confronto (1-1; 1-0). La rosa comprendeva: A. Peruzzi, M. Rampulla, C. Ferrara, M. Carrera, A. Fortunato, M. Torricelli, J. Kohler, S. Porrini, G. Marchi, A. Tacchinardi, A. Conte, A. Di Livio, P. Sousa, D. Dechamps, R. Baggio, A. Del Piero, F. Ravanelli, G. Vialli. Il Milan del decennio d’oro si aggiudicò il campionato 1995/‘96 sotto la guida di Capello, che avrebbe lasciato la squadra per il Real Madrid, con otto punti di lunghezze sulla seconda, la Juventus, che vinse la Supercoppa Italiana e si laureò Campione d’Europa. La finale di Champions League 1995/‘96 si giocò a Roma, il 22 Maggio 1996, tra la Juventus e l’Ajax campione uscente. Il pareggio per 1 a 1 nei tempi regolamentari portò a prolungare la partita fino al risultato finale di 5-3 ai rigori per la squadra bianconera. La formazione della Juventus: Peruzzi; Torricelli; Vierchowod; Ferrara; Pessotto; Conte (44' Jugovic); Paulo Sousa (57' Di Livio); Deschamps; Ravanelli (78' Padovano); Vialli; Del Piero. Allenatore: Lippi. L’Ajax: Van der Sar; Silooy; F. De Boer (69' Scholten); Blind; R. De Boer (91' Vooter); Davids; Bogarde; Finidi; Musampa (46' Kluivert); Litmanen; Kanu. Allenatore: Van Gaal. Arbitro: Diaz Vega (Spagna). Marcatori: 13' Ravanelli (J), 41' Litmanen (A). Rigori: Davids 0-0, Ferrara 0-1, Litmanen 1-1, Pessotto 1-2, Scholten 2-2, Padovano 2-3, Silooy 2-3, Jugovic 2-4. Al termine della partita mi inginocchiai e baciai il pavimento della mia camera da letto. Poi mi misi a correre per tutta la casa cantando e ridendo. Mi sembrava troppo bello per essere vero, ma era vero. Uno dei ricordi più belli della mia vita. Uno dei momenti più felici. Nel girone C la Juventus (13) aveva prevalso sul Borussia Dortmund (9), lo Steaua Bucarest (6), il Rangers FC (3). Ai quarti aveva superato il Real Madrid, in semifinale l’FC Nantes Atlantique. Con questo biglietto da visita bello da fare invidia a Bale/Bateman nel film American Psycho, la Signora si presentò nel Campionato Italiano 1996/‘97 in tutta la sua splendida bellezza. E naturalmente ne fu la primadonna e la protagonista assoluta, vincendo il suo 25° titolo tricolore. Il 1997 era un anno speciale, l’anno del centenario dalla fondazione e andava onorato. La Juventus vinse la Supercoppa Europea e la Coppa Intercontinentale e si presentò da Squadra Campione del Mondo a celebrare l’evento denominato Juvecentus. In una serata fulgida nella memoria anche per la presenza di P. Bertoli, che cantò l’inno composto per l’occasione. Il mio preferito. Riguardo alla Supercoppa Europea Wikipedia recita testualmente: “Da segnalare l’edizione 1996, la penultima con la formula del doppio incontro, disputata tra gennaio e febbraio del 1997 tra Juventus e Paris Saint-Germain: il risultato finale fu un 9-2 complessivo per i bianconeri che rappresenta al contempo l’edizione con il più alto numero di goal, 11, e in cui si sia verificato il maggior scarto tra le due squadre, 7 goal. Inoltre, il 6-1 dell’andata con cui la Juventus vinse a Parigi costituisce sia l’incontro singolo con il maggior numero di goal della storia della competizione, e al contempo la miglior vittoria fuori casa”. Il 26 novembre 1996 si giocò la finale di Intercontinental Cup: Juventus River Plate 1 - 0. Marcatore: Del Piero (J) al 81'. Formazione: A. Peruzzi; C. Ferrara; M. Torricelli; P. Montero; M. Porrini; A. Di Livio; D. Deschamps; Z. Zidane; A. Boksic; A. Del Piero; V. Jugovic. Note: Del Piero eletto miglior giocatore della partita dai giornalisti accreditati presenti a Tokyo. 151 le Nazioni collegate in diretta col Giappone. Tutti i biglietti esauriti in una settimana. Quel giorno Il Capitano ha lasciato un segno formidabile nella storia della Juventus. Ed è entrato nel mio cuore per sempre. Tutto quello che ha fatto nel calcio appartiene a lui e alla Juventus. In qualche misura anche a noi. Il 28 maggio 1997 la Juventus fu per la seconda volta consecutiva finalista di Champions League contro il Borussia Dortmund, perdendo per 3 a 1 una partita nel corso della quale Del Piero segnò quello che viene sempre ricordato come il goal più bello della storia della competizione. Del Piero fu anche miglior marcatore del torneo, con quattro reti. Nel 1996 il Pallone d’Oro fu attribuito a un certo Matthias Sammer, Del Piero 4°; nel 1997 a Ronaldo, Del Piero 19°; nel 1998 a Zinedine Zidane, Del Piero 16°. Ancora oggi non ho capito perché. Formazioni. Borussia Dortmund (allenatore Ottmar Hitzfeld): Stefan Klos; Jürgen Kohler, Matthias Sammer, Martin Kree, Stefan Reuter, Paul Lambert, Paulo Sousa, Jörg Heinrich, Andreas Möller (89' Michael Zorc), Karl-Heinz Riedle (67' Heiko Herrlich), Stéphane Chapuisat (70' Lars Ricken). Juventus (allenatore Marcello Lippi): Angelo Peruzzi; Sergio Porrini (46' Alessandro Del Piero), Ciro Ferrara, Paolo Montero, Mark Iuliano, Angelo Di Livio, Vladimir Jugović, Didier Deschamps, Zinedine Zidane, Alen Bokšić (88' Alessio Tacchinardi), Christian Vieri (73' Nicola Amoruso). Marcatori: Karl-Heinz Riedle 29', 34'; Lars Ricken 71'. Alessandro Del Piero 64'. Nel Gruppo C la Juventus era risultata prima (16) su Manchester United FC (9), Fenerbahçe SK (7), SK Rapid Wien (2). Ai quarti aveva eliminato il Rosenborg BK (1-1 e 0-2), in semifinale l’Ajax battendolo in andata e ritorno (1-2 e 1-4). Nonostante Alex avesse avuto la possibilità di giocare solo un tempo, pensai semplicemente che non sempre si poteva vincere. Il lavoro andava bene e desideravo molto che il mio matrimonio fosse felice. Stimavo mio marito come il migliore degli uomini e mi vergognavo di non amarlo. Ce la mise tutta per farmi cambiare idea. Cominciò a reinvestire tutto quello che guadagnavamo, senza tenere conto delle mie insistenti preghiere di tenere da parte qualcosa. Iniziò a pretendere prestazioni particolari e di fronte alle mie rimostranze a mettere in atto piccoli abusi. Al cospetto dei suoi era sempre accondiscendente senza mai dare al mio ruolo la dignità che mi spettava come moglie. Dovetti minacciare di fare le valigie e andarmene perché prendesse in mano il telefono e spiegasse a sua sorella che non era affar suo stabilire in che modo dovessi vestire e educare mio figlio. Maturai l’idea che c’è solo la Juve quando tutti mi lasciano sola. E che quel goal strepitoso di Alex, eseguito magistralmente di tacco in acrobazia, così bello e così inutile, fosse invece la firma in calce a questo atto d’amore. La prova che qualcuno a questo mondo non mi aveva mai deluso e mai lo avrebbe fatto. Giorno 1 Novembre 1997, cento anni dopo che tre ragazzi riuniti su una panchina di fronte a un liceo torinese avevano fatto nascere un sogno, quel sogno era diventato realtà. La Signora del calcio italiano celebrava il suo primo secolo in qualità di Campione d’Italia e del Mondo, avendo inanellato una serie di vittorie strepitose, carica di gloria, guardata con invidia da chi era riuscito ad agguantare un posto nelle competizioni europee solo perché riacciuffato in seguito alla vittoria bianconera in Champions del 1996. Qualcuno che per dieci anni avrebbe continuato a recriminare per un rigore non assegnato. Al quale Del Piero aveva risposto venti secondi dopo sbagliando un rigore dato che avrebbe dovuto chiudere lì la questione. Qualcuno che come Bateman vive di incongruente bellezza formale, aspirando alla vendetta. Qualcuno che alle celebrazioni per il suo centenario si sarebbe presentato con lo scudetto vinto da qualcun altro sul campo cucito sulla sua maglia e un altro rimediato sulle cadette del campionato, avendo avuto cura di eliminare preventivamente a tavolino le avversarie. Qualcuno con una dannatissima fretta di consumare i festeggiamenti dei suoi cento anni due giorni prima che il Liverpool lo risbattesse fuori dalla Champions League agli ottavi di finale. Per fortuna stavolta senza le conseguenze di una rissa. Qualcuno che ha la responsabilità di aver cambiato le regole del gioco e del campionato più bello del mondo.
 
  IL NOSTRO SONDAGGIO
 
Dopo la Cassazione su Moggi, cosa dovrebbe fare ora la Juve?
 
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