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          PRESSING.... Farsopoli a puntate

Articolo di G. FIORITO del 27/11/2011 19:04:17
Tutta colpa di calciopoli.9° La mia “Calciopoli”

 

Vista così, a mente serena, se mai uno Juventino potesse conservare un poco di calma anche solo a pensarci e un non Juventino dimenticare quel sottile senso di piacere che gli è derivato dall’aver visto avverarsi il sogno inconfessabile, la Juve in serie B, calciopoli sembra proprio una spy story. Una spy story degna di un film americano, di una notte blu in stile Lucarelli. Lo scenario: un paese corrotto. I personaggi: cresciuti a pane e corruzione. Una famiglia troppo importante in piena faida a causa della spartizione dell’eredità, appena dopo la scomparsa del patriarca maggiore e di quello minore. Intorno avvoltoi, di tutte le specie, da quelle più insospettabili che popolano i livelli alti della gestione manageriale dell’economia e della cosa pubblica di un paese detto non a caso “Il Belpaese”, a quelle immancabili in una spy story che si rispetti, più o meno imparentate con i servizi segreti e la loro parte deviata. Unico dato originale l’oggetto della contesa: una squadra di calcio, la Juventus.
A mio avviso questa storia inizia molto tempo prima, ma entra nel vivo nell’aprile del 2006. Preceduta da una bella intervista rilasciata da Antonio Giraudo, uno dei componenti la famigerata Triade, il gruppo di tre uomini che guidava la Juventus. Giorno 1 Aprile 2006 Antonio Giraudo descrive con entusiasmo al quotidiano “La Repubblica” le sue intenzioni sul futuro della Juventus, lasciando intendere che il progetto riguardante una squadra di calcio in realtà potrebbe trasformarsi in qualcosa di molto più importante. Una sorta di cerchio magico nel quale l’inizio e la fine coincidono, essendo costituiti da un epicentro capace di incentrare su di sé interessi fortissimi e autogenerare denaro e potere per il semplice fatto di esistere. Questo inizio e questa fine sono la Juventus. Da questo inizio e questa fine dipendono molti interessi, anche per chi non è direttamente coinvolto nel mantenerne il controllo, ma da questo controllo e dalle dimensioni e dalle potenzialità di questo controllo dipende. Tutto questo potrebbe definirsi “brand” e vi sembrerà paradossale, ma se andate a frugare dentro i fatti delle maggiori squadre di calcio italiane (tra cui Roma, Inter e Milan) e anche di qualcuna minore, scoprirete che è la Juventus ad essere ancora proprietaria del suo. Le altre lo hanno portato in banca per ottenerne in cambio denaro, tanto denaro, fino agli oltre 150 milioni di euro rimediati dal Milan stellare per coprire i debiti, reinvestirli, continuare a iscriversi al campionato di calcio di serie A. Malgrado siano state poste al riparo dal dover subire danni eclatanti da un processo per falso in bilancio. Malgrado l’Inter non avrebbe nemmeno potuto e dovuto iscriversi al campionato di calcio di serie A 2005/’06, quello che i suoi giocatori dicono di aver vinto “senza rubare”, ma che secondo la mia opinione ha rubato alla Juventus. Nonostante la questione dello scudetto revocato al Torino (Campionato di calcio 1926/’27. Il “caso Allemandi”) negli anni ’20 sia stata sempre considerata come un precedente e in caso di revoca il titolo non sia mai stato assegnato ad alcuna altra squadra di calcio. Fino al 2006.
Fin dalle sue origini la Juventus è legata a doppio filo a due componenti che la rendono speciale e unica. Da una parte è unita indissolubilmente ad una famiglia e al marchio che questa famiglia rappresenta, la Fiat. Dall’altra ubbidisce a un destino singolare, che la fa essere la squadra per eccellenza, la più amata dagli Italiani, una tra le più seguite nel mondo, la squadra da battere. In virtù dei successi conseguiti, ma anche del simbolo che incarna super partes, oltre i confini stretti del regionalismo, in qualità di compagine amata dalle Alpi alla Sicilia, dalla signorile e laboriosa Torino e dagli operai della Fiat, molti dei quali sono stati meridionali. Un destino che è la forza della Juventus e che si è rivelato l’arma a doppio taglio che l’ha inesorabilmente colpita con viltà e a tradimento nel momento più difficile della sua storia, ma che è forse ciò che la rende immortale.
Giraudo sa tutto questo quando rilascia la famosa intervista di giorno 1 aprile 2006, che si trasformerà in un maledetto pesce d’Aprile per tutti quelli che amano la Juventus. Quello che non si aspetta è di trovarsi contro coloro che dovrebbero essere i principali destinatari dei benefici del nuovo corso degli affari bianconeri. Si teme per le sorti dell’IFIL, si teme di non riuscire a liberarsi dalla morsa delle banche, che vogliono mettere le mani sull’eredità degli Agnelli. Si teme che Giraudo riesca a compiere la scalata e a impadronirsi di fatto della Juventus. Ma non ottiene i fondi per realizzare il sogno di fare della Juventus il fulcro, il propulsore di un piano industriale ed economico che servirà per autogestirla e renderla più forte, creando un connubio nel quale ricchezza e potere, non solo in ambito sportivo, potranno rincorrersi a canone infinito diventando una la conseguenza dell’altro. Le azioni iniziano a salire inspiegabilmente, c’è qualcuno che propone qualunque cifra per acquistarle. La Triade deve essere fermata. Con le buone o con le cattive. Inter e Milan ne hanno già richiesto invano i servigi. E’ in scadenza di contratto, è vero, ma gode dei favori dei tifosi. E poi ci sono due leggende metropolitane a cui forse bisogna tenere fede. O forse no. Una racconta che sia volere dell’Avvocato che la Juventus rimanga di proprietà della famiglia Agnelli. L’altra risale a un’altra questione di banche, al 1993, quando vennero incontro alla Fiat, ma in cambio fu fatta richiesta che a Umberto non dovesse toccare voce in capitolo. Che gli lasciassero la gestione della Juventus. E’ il figlio Andrea l’erede di Umberto, il presidente designato della Juventus immaginata da Giraudo. Ma c’è una faida interna. Ci sono gli Elkann, Lapo e John, c’è Luca Cordero di Montezemolo, Gianluigi Gabetti, Franzo Grande Stevens, ci sono troppi interessi da salvaguardare. Meglio liberarsi della Triade e riassumere il controllo dell’unico bolide della casa che non si veste di rosso, ma di bianconero.
La Juventus ha vinto troppo, non si contano più le settimane che è in testa alla classifica del campionato di serie A, ma sono settanta quando Giraudo rilascia l’intervista di giorno 1 Aprile 2006 e saranno 76 al termine del campionato. E c’è qualcun altro che è intenzionato a sbarazzarsi della Triade, a colpire e ad affondare la Juventus, a danneggiarla con tutti i mezzi, a far credere le sue vittorie poco limpide per giustificare le sue continue sconfitte e i suoi numerosi errori, costati 600 milioni di euro. Una cifra abnorme, che ha fatto dire ad uno dei massimi esponenti dei vertici dello sport nel nostro paese, Antonio Matarrese, che non si può mandare in serie B una squadra che ha investito tanto. Mentre se ne è potuta mandare a marcire per un anno nella serie cadetta, senza prove e inventando ad hoc un reato che non c’era, una che ha costruito semplicemente su se stessa e sul suo nome la sua fortuna. Con il significativo apporto di personaggi dei quali risalta anzitutto una caratteristica immancabile e di attualità, il conflitto d’interesse.
La Juventus subisce un attacco frontale. E viene trascinata in piazza a subire un procedimento di giustizia sommaria non nelle aule di un tribunale, bensì sulle pagine dei giornali, soprattutto “La Gazzetta dello Sport”, “Il Corriere della Sera” e “La Stampa”, stranamente riconducibili al gruppo RCS e paradossalmente alla sua stessa proprietà. Accade la consueta e illegale fuga di notizie dalle procure. Sta partendo uno scandalo che passerà alla storia come “calciopoli” o “moggiopoli” o, ma anche “farsopoli”.
Appaiono una serie di intercettazioni telefoniche che sul momento fanno scalpore, ma che non riempiranno allo stesso modo le pagine con titoli a otto colonne quando sembrerà probabile che siano state manipolate disinvoltamente allo scopo di inventare o manomettere prove. Espediente con il quale si vuole elaborare la tesi di una cupola che tutto dirige nel mondo del calcio italiano, dal trasferimento dei giocatori da una squadra all’altra al loro approdo in nazionale, ai risultati delle partite del campionato di serie A, la cui regia sarebbe di Luciano Moggi, il DS della Juventus, autore di oltre 400 telefonate al giorno utili per mettere in pratica l’ignominioso piano.
Che ancora oggi non è stato dimostrato, ma è stato quasi vanificato dalle sentenze dei tribunali della giustizia ordinaria e da quanto è accaduto durante le udienze del processo di Napoli. Già nel settembre del 2007, a un anno dalla sentenza della giustizia sportiva che condannò la Juventus alla serie B, la Corte d’Appello del Tribunale di Roma, alla quale si era rivolto il giornalista G. Teotino, querelato dagli allora designatori P. Bergamo e P. Pairetto, ha affermato che “il sorteggio arbitrale non era truccato” e ha condannato il giornalista al pagamento di una multa di mille euro.
Nell’aprile e nel maggio 2006 la Juventus si apprestava a vincere sul campo il suo 29° scudetto. Non ho mai creduto che non fosse meritato, poiché, a differenza dei giudici che hanno rifiutato di produrre in aula le videocassette delle partite come prove, mi ero premurata di vedere tutte le partite della compagine bianconera del campionato di calcio di serie A 2005/’06, il quale a tutt’oggi non è mai stato oggetto di indagine. Lo stesso posso dire del campionato precedente, la stagione 2004/’05, e dell’altro scudetto revocato.
Nonostante il dolore fisico che provavo ogni giorno per il martellante e ossessivo scempio che i quotidiani e i telegiornali facevano della giustizia e della mia squadra del cuore, non ho creduto per un attimo che il peggio potesse concretizzarsi in realtà. Esattamente come era accaduto per il processo per doping, ho continuato a pensare che se c’è una bevanda magica la bevono tutti e se di malcostume si trattava, l’Italia è la patria del malcostume e non si poteva farla pagare solo alla Juventus. C’è un opera molto nota di Mozart con una celebre aria che riecheggia: “Così fan tutte”. Nell’estate del 2006 non abbiamo avuto a disposizione i mezzi per capire e diversificare le responsabilità, né per comprendere esattamente quali fossero. Di conseguenza o tutti dentro o tutti fuori, pensavo. O tutti in serie A o tutti in serie B. Perché non era coinvolta solo la Juventus, ma anche il Milan, la Lazio, la Fiorentina. Ci sarebbe stato da trasferire tutto l’interesse dei calciofili e dei tifosi nella serie cadetta, che sarebbe risultata più interessante di quella maggiore. No, non era una cosa che si poteva fare.
E poi di comportamenti illeciti, il famoso articolo 6, non ce n’era nemmeno uno, piuttosto una serie di infrazioni al codice etico, di atteggiamenti sopra le righe, di cui si ha traccia, in oltre 100.000 telefonate, per sei volte nelle quali era stato contravvenuto all’articolo 1. Cose deprecabili, certo, per quanto non vietate da alcun regolamento, attestanti eccessiva familiarità con designatori e funzionari, ma punibili a rigore con una multa o al più una penalizzazione in termini di una dozzina al massimo di punti. E bisognava che superassero i 15 per consegnare lo scudetto alla squadra di Moratti, il disinvolto petroliere che da anni continuava a investire nell’Inter senza concludere nulla né in campionato, né tantomeno in Europa. Perché anche il Milan secondo in classifica c’era dentro fino al collo. Leggeteli, i discorsetti di Collina con Meani, finalizzati a certi incontri in un ristorantino durante il giorno di chiusura. Non è che se paghi qualcuno per fargli fare qualcosa che non si dovrebbe fare, le tue mani restano pulite.
Continuavo a credere che non mi sembrava una cosa logica accanirsi contro il calcio, la passione principe degli italiani e contro alcune tra le squadre più seguite e più amate. Che alla fine non poteva portare acqua al mulino di nessuno. Sulla base di intercettazioni telefoniche, mentre si veniva a sapere di altre intercettazioni e investigazioni illegali, commissionate dal presidente di un’altra squadra di calcio tradizionalmente avversaria della Juventus. Eseguite da qualcuno che le faceva dentro e per conto dei vertici Telecom e Pirelli. Anche se hanno provato a farci credere che non ne sapessero niente, pur essendo dirigenti e azionisti dell’Inter. E Telecom e Pirelli fossero da tempo tra i primi sponsor dell’Inter. E poi, perché tutti avevano questa cattiva abitudine di stare attaccati imprudentemente al cellulare, ma non era venuta fuori una sola intercettazione di una telefonata di un dirigente dell’Inter? Che usavano, i pizzini? O spendevano tanto per tutti quei giocatori di improbabile presente e futuro, tutti stranieri, da non potersi permettere nemmeno un telefonino?
Cui prodest? La domanda era inevitabile. All’Inter? Ma fare fuori gli avversari in modo maldestro non può essere fonte di gloria. Senza contare che lo spione è ritenuto il personaggio più spregevole dell’opera. Il valore si esprime sul campo, non al telefono, o peggio, a tavolino. E poi appena il 25 maggio 2006, presso il tribunale di Udine Oriali e Recoba avevano patteggiato la condanna penale e sei mesi di reclusione, convertita in una multa di 21.420 euro, per l’affare del passaporto falso del giocatore, al quale si era aggiunta una patente rubata alla motorizzazione di Roma. Tanto onesti, non è che fossero in via Durini. Nonostante il 26 luglio, per commentare l’attribuzione a tavolino dello scudetto scippato alla Juventus, proprio Oriali in un’intervista alla Rai avesse usato le parole “scudetto dell’onestà”.
Agli Elkann? Ammesso e non concesso che non fossero campioni di tifo come l’Avvocato e il fratello Umberto e che avessero avuto un ruolo se non attivo, quantomeno passivo, una specie di omissione di soccorso, nella difesa della Triade per semplice opportunismo, possibile che arrivassero a rischiare oltre al riconoscimento dei trofei vinti, anche la storia e la tradizione di una società ultracentenaria e amatissima dai tifosi? E un sacco di soldi?
Alla FGCI? Vero che spesso ha fatto nascere il sospetto di essere ammanicata con certi ambienti romani e romanisti. Vero che la Roma si sarebbe vista piovere addosso un secondo posto e i soldi della Champions, ma questa allora non è più una fiction di spie, è fantascienza.
Continuavo a sentirmi male per tutto quello che stavano facendo passare ad Alessandro Del Piero e a Pavel Nedved, a Gigi Buffon, che rimaneva il più grande portiere del mondo, a Mauro German Camoranesi, che consideravo uno dei più grandi calciatori in attività, a David Trezeguet e a tutti gli altri. Continuavo ad aspettare che qualcuno mi svegliasse da quel brutto sogno, da quell’ossessione terribile che speravo avesse termine.
Magari spostando l’interesse sugli imminenti Mondiali di Calcio.
 
  IL NOSTRO SONDAGGIO
 
Dopo la Cassazione su Moggi, cosa dovrebbe fare ora la Juve?
 
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