Archimede diceva: "datemi un punto d'appoggio e solleverò il mondo". Ma lasciamo perdere il grande greco e veniamo al punto. Che l'assenza di prove non sia prova d'innocenza sono il primo ad ammetterlo. Da qui a poter accettare che si possano condannare, in qualsiasi ambito, persone senza che ne sia accertata la colpevolezza fa di un Paese civile un luogo in cui un manipolo di quaquaraqua può decidere del destino altrui.
Se penso a quello che è successo, in piccolo, ad Antonio Conte condannato a quattro mesi di squalifica perché, a differenza di tutti gli altri, "non poteva non sapere" (questo resta dopo i fantomatici e fantasiosi tentativi di coinvolgimento) e, in grande, a Luciano Moggi, che in seguito all'invenzione ad hoc del ridicolo reato di illecito strutturato veniva radiato dalla cosiddetta giustizia sportiva (per tacere del processo civile ancora in itinere) ho ancora i conati di vomito. Che la stampa italiana sia costituita perlopiù da giornalai e pennivendoli è cosa risaputa, ma che nessuno, o quasi, senta il bisogno di ribellarsi a certe ingiustizie è la fine dello stato di diritto.
Parafrasando Archimede potrei dire: datemi una prova certa e sarò il primo a chiedere la condanna di un imputato, ma accettare condanne basate sulle istanze di un sentimento popolare all'uopo costruito, coltivato e "indirizzato" MAI. Alla luce di quanto avviene da più di un anno, è evidente che qualcuno ha riacceso, come una fiammella, quel sentimento popolare che sette anni fa divenne un rogo devastante con le conseguenze che tutti conosciamo.
Da tante parti soffiano, alimentandola, sulla fiammella. E allora, cosa aspetta, chi di dovere, a spegnere sul nascere ciò che, ancora una volta, potrebbe diventare un incendio infernale che nemmeno i pompieri potrebbero più domare. |