Nel giro che racchiude gran caverna vidi in baruffa gente d’ogni risma; un’accozzaglia i**** e sempiterna, tanto da scatenare un cataclisma. Picchiarsi era obbligato fra di loro, con forza tale che lo sangue scorre: una gran rissa priva di decoro, fine alla qual nessuno potea porre. Prima di chieder lumi al mio maestro ristetti un poco, e quasi fui abbagliato da un tipo che alla lite era sì destro che molti avea percosso ed umiliato. Or dimmi, duca mio: ma chi è quel tale che batte tutti senza batter ciglia? Perché sta qui? Perché è sensazionale quest’empia bolgia, questo parapiglia? Ed egli a me: “chi agisce sì pesante è Zazzaron brigante, che violenza portava sempre alle tre stelle sante, spacciando il suo livore per sapienza. E ha la corona, gliela vedi in testa; chè per volere dell’Onnipotente sovran dell’odio era, e sovran resta (anche se il titol, qui, non conta niente). In vita questi fecero crociata, ordendo inganni sino a blasfemìa, tanto che la Signora fu accusata finchè la folla la credette ria. La pena sembra lieve, appetto ad altre giacchè guerrier si fanno, e con coscienza; ma se le tue meningi rendi scaltre, comprendi ben qual sia la sofferenza: perché, tu vedi: lui colpisce, e molto; ma anche i suoi compari dell’arena colpiscon lui, che allor ne vien travolto; perpetua è del picchiarsi l’altalena. Cotal categoria di personaggi che dà, riceve e poi replica presto, è di chi fè mediatici pestaggi, con l’odio puro e con l’agir molesto; e allor, per la perfetta punizione, giusto destino cada su di questi, sempre costretti ad immortal tenzone di modo che in eterno siano pesti. Quelli che prima fecer comunella facendo i conti in tasca al bianconero (anche berciando sulla terza stella), or fan tra loro i conti per davvero: duellan tra di lor, tra pataccari: chè l’un colpisce, e l’altro poi risponde con calci e pugni, ma dei più volgari, come nelle peggiori baraonde. Nel Mondo son chiamati “giornalisti”; ma il termine è sin troppo lusinghiero perché, chi li abbia letti, uditi o visti, disprezza lor, schifandoli davvero. Spesso contando su alte protezioni: degli Addams, dei Pupon, Ciucci o Prescritti, giammai restaron senza brutte azioni; né con la penna, né con bocca zitti. Imbratta-carta dall’agir distorto, che al soldo di nemici sì famosi andaron contra Juve a farle torto e invaser l’aria di pensieri irosi. E ancora: “untori”, e “scribacchin marrani”: sono espressioni ben più convenienti per definir le imprese da put.tani che fecer, di continuo, quei pezzenti. E per lo sputacchiar dei parolai Nostra Signora fu messa alla gogna; da loro derivarono i suoi guai, che ancor la segneranno di vergogna. Faziosi, servi sciocchi e disonesti, agendo con il far delinquenziale, diviserossi della Zebra i resti dopo la sua condanna sì letale. Uniti furon contro il Sacro Impero, causando alla Regina quasi morte con sozzi mezzi, e mai dicendo il vero; ed or, divisi, se le danno forte. Essendo ultra-tifosi dichiarati, sta bene ch’essi stian così rinchiusi come in un bar, da tristi sfaccendati che solo a scazzottate sono usi. Qui te lo dico, ed anche lo confermo, che questi intorno son televisivi, chè in prevalenza dentro il picciol schermo agiron come d’intelletto privi; e praticando truci religioni (come lo ruffianesimo imperante), riuscivano a influenzare i creduloni stordendo le persone tutte quante. Fra quelli, ben ridicol, c’è Varriale, persona indegna che ci spinge al lazzo, che gira con in testa un orinale (quanto gli è proprio, il simbolo del pazzo!) Siccome lui fu assiduo, nel colpire lo Sacro Impero ed ogni suo esponente riceve, in proporzione al suo mal dire, frequenti colpi che lo fan demente. Anche chi lavorava fianco a fianco, compagni nella stessa trasmissione, di battere il collega non è stanco; per cui persin beffarda è l’espiazione così come qui capita alla coppia Caputi e Tombolin, quei due figuri che fecero in tivù scemenza doppia, ed or di pugni si tempestan duri.” D’un tratto, in mezzo a quelle facce brutte ne spunta una insolita e insinuante: del topo le sembianze aveva tutte; dava le botte, e ne prendeva tante. Senza bisogno che il mio condottiero mi dispiegasse chi quel sorcio fosse, ben chiaro fu all’istante il mio pensiero e riconobbi, fra le chiazze rosse, faccia-di-ratto, ovvero lo Cerqueti, telecronista di romane storie: di sua faziosità riempì le reti, ed ora è messo fra le umane scorie. Non solo lui, ma altri erano i ratti a muovere le zampe in quel terreno: fra li più luridi era Pellegatti, che offese il nostro Antonio in modo osceno. Maestro, altro quesito mi vien tosto: com’è che il diabbol qui non interviene? Perché nessuno d’essi è fatto arrosto, oppur sferzato, o conficcato viene? “Lo fatto è, mortale pellegrino, che l’ideatore dell’oscuro regno ritiene questo popol sì meschino che neanche del forcon lo pensa degno. E’ meglio che finiscan tra di loro quel che nell’altro Mondo han cominciato: uniti, con violenza fecer coro; e in coro qui violenza hanno trovato. Rare le donne, di cui una era Sanipoli, robusta peccatrice che nell’immonda farsa fu megera perché lei d’esser danneggiata dice in quanto esclusa a raccontar le gesta della Regina (ed è a verbal nei fogli); perciò, in sostanza, ci guastò la festa partecipando, laida, a quegli imbrogli. Là tanti famosissimi vedevo beccarsi come polli da cortile; spettacolo di basso Medio Evo: il vile che, frustrato, picchia il vile. Spettacol nuovo e molto divertente colpì la fantasia e lo mio intelletto; allor mi piace esporlo estesamente, e a sollevar sipario ora m’affretto: restai ammirato, come alla finestra, vedendo un druido che solennemente, da austero direttore dell’orchestra, comanda il fare di parecchia gente. Ognun di loro parla, e poi colpisce lo suo vicino, che lesto si gira; e con parlata che mal si capisce, all’altro adatta ricompensa tira. Ghignante farsa ognuno può vedere: col piglio dei più consumati istrioni si danno dei gran calci nel sedere, battendo il record delle amene azioni. Mio faro, ma cos’è cotanta scena? Quale commedia qui si rappresenta? Ridicol pare, ed è grottesca pena, quel colpo che ciascun dei guitti allenta. E la mia guida: “Se tu ben rammenti, le barzellette di tal commedianti riempiron già lo video, e ancor li senti ciarlar pomposi come giudicanti. Eran protagonisti del “Processo”, teatrino che li bassi istinti alletta, che poser dignitade dentro il cesso e la Juventus misero in burletta. E quel che ne pilota le movenze è lo celebre rosso, Aldo Biscardi che a lungo popolava le frequenze, sino a canizie dei suoi anni tardi. Già sugli schermi attuarono la zuffa così che qui, per bassa litigata, fan varietà con quella scena buffa, colpendo parte retra con pedata. Fra i tanti “calciatori” così esperti ne spicca un, che unisce il prima e il poi: il nome (che destino) era Sconcerti, che Lupa e Giglio mise contra noi. E allor, siffatti comici del fiele facevan lì, e fanno anche qui, tresca tessendo, seri, buffonesche tele; ma solo torta in faccia è più burlesca”. A malincuore io distolsi il guardo da quel piacevolissimo teatro, che luce fa col suo tono beffardo; ed or proseguo a dir chi è in loco atro. Quel che la barba subito distingue è Cucci, che l’età rese più stolto; e mentre ancor più diventava pingue, il suo intelletto peggiorava molto: pensò normale che Nostra Signora venisse maltrattata in sua Bologna con aggressione che la disonora, sprezzata come una che ha la rogna. Dicendo che è indecente l’esultare in casa altrui, calcando gli altrui prati, d’ufficio lo dobbiamo collocare fra i torvi rosiconi conclamati. Poi altri riconobbi a prima vista: Bizzotto, Civoli e Pizzùl beone; tutti alla mischia, tutti quanti in pista: ciascun ragliò credendosi leone. Per altra mal genìa, non si poteva attribuire un nome a lor pellaccia: giacchè l’aspetto ogni certezza leva, essendo anonime ombre senza faccia. Eran quei di “Sportsera”, la meschina covata di volgar tele-bravacci: nascosero nel bene la Regina e, se nel mal, la vestivan di stracci. A parte, se ne davan più veloce guidati da quel Sassi, il gran falsario che fece di Turon delizia e croce, e sta fra gli anti-Juve nel bestiario. Son moviolisti, questi qua sul dosso, capaci di maneggi sopraffini; ed ora, accelerati a più non posso, si scontran svelti come Ridolini. Nell’angolo, là in fondo, c’è Pistocchi: di botte, strano, proprio lui è digiuno; eppur sta molto bene fra i farlocchi, bizzarro che non lo tocchi nessuno. Lo chiesi al Presidente, che rispose: “nessun si cura di quel piccol fesso, perché sono evidenti certe cose: lui era zero, e zero è pure adesso”. In ampia valle, un folto branco strano vi battagliava in prevalente sbaglio; chè il grosso di quei colpi andava invano: troppi di lor fallivano il bersaglio. Ma lo particolare sorprendente era lo nero aspetto, e sì completo che solo lo carbone, e poi più niente, potea paragonarsi nel concreto. Stupito dalla netta differenza di abilità nel dare lo fendente, che rende sì curiosa lor presenza rispetto al gruppo ben più competente, chiesi a lo duca mio: “O sommo saggio, rispondi, se di tale onor son degno: ma i colpi di quegli altri han poco aggio, chè forse neanche un decimo va a segno. E come mai son neri come pece? Perché la mente li va a confrontare con quei di prima, che son bianchi invece, e paion nati per lo pugilare?” E Boniperti, che mi accompagnava, mi spiega nel dettaglio che succede: “Certo che ogni percossa appare ignava, tu sappi che ciascun di lor non vede. Dei giornalacci eran gli scrivani: facevan creder tutto ciò che sembra ed or di nero han lorde le lor mani; è nero il volto, e pur tutte le membra. E devo dir che affatto mi dispiace simile colpo d’occhio bianconero, sicchè li rei qui rendono efficace il bel colore dello Sacro Impero”. Ed han gli occhi velati dall’inchiostro che tanto seminaron nelle carte, sempre facendo della Zebra un mostro; ed assai bravi furono in quell’arte. Ma soprattutto, per lo contrappasso, l’andare loro pare lento e sciocco; precario, vedi, portan ogni passo: qualcuno cade senza neanche tocco. Lo scuro material che un dì serviva a questi grami per tramare biechi, rendendo ogni lor pagina sportiva una palestra per dar colpi ciechi, ora è versato su di loro, in modo che il loro aspetto sia molto evidente, e che la cecità non gli dia approdo per colpi che finiscono nel niente; è ben maggior la loro frustrazione dovendo per l’eternità colpire, compiere quasi sempre vana azione, così che ancor più forte sia il patire. Non vedono, ma devono lottare; dopo che fecer tutto con l’inganno, non sanno dove sono, né che fare; e tutto ciò per loro è un grave danno. Lì tutti appartenevano alla stampa scrivendo un temporale di menzogne, agendo come chi frodando campa e merita di stare nelle fogne. Per cui, coperti dal liquame nero, ancora più degli altri fanno schifo; e grazie a quel castigo veritiero scontan le malefatte e il loro tifo che li portò a tradir la conoscenza, ad affossar giustizia e verità; a rinnegare ognor la competenza, poi disprezzando tecnica e realtà. E invece di professionalità (sostanza vera d’ogni giornalista), a praticar di grande la viltà furono tutti, e v’è una lunga lista. Prima nascosti nelle redazioni in modo da sparare a piacimento, or tutti sanno delle loro azioni, dei colpi ch’essi danno contro il vento; del lor colore nella landa brulla, del liquido che esala i suoi miasmi; di come questi vaghino nel nulla, costretti a fare i conti coi fantasmi”. Ma alcuni non avevano quel nero: v’eran dannati di color granata (massimamente ostili al Sacro Impero) che facean rissa in zona più appartata. Pur ricoperti inesorabilmente, io riconobbi lì Minà e Ormezzano: distinti per il fare prepotente, per grossa stazza e per cervello nano. D’un tratto, uno dei sensi cominciava a procurarmi danno nel percorso; la mente mia a capir non era brava da cosa il naso mio venisse morso. “Maestro, ma io sento un greve odore: tappa le nari e ne sconsiglia l’uso, e reca al loco maggior disonore (pur se lo disonore è qui diffuso)”. “Quello che senti è frutto di quel fosso che vedi là, e che funge da latrina: vi è gente ancor peggiore, se io posso; pena più vil non c’è, umana o divina. Lo abitano i pravi gazzettari di quel cotidie ch’avea roseo panno, e quindi lo castigo è dei più amari: chè mer.da sparser fieri, e in mer.da stanno sino alle cosce; e allor la punizione è tripla, come qui ben si conviene: son ciechi ma costretti alla tenzone, seppur frenati da sozze catene. Qualcuno, addirittura, sta a carponi in modo ch’abbia più alti patimenti: son quei che di viltà furon campioni, e adesso hanno la coppa d’escrementi. “Gazzetta dello sporco” fu nomata dalli tifosi che il mio cuore accoglie: eterna attuaron la malandrinata, eterno guano qui ‘l respir gli toglie. Giacchè i più vili attacchi alla Regina furon portati da ‘sto uman pattume, allora vil materia li rovina; questo è il supplizio che decise il Nume: Nostro Avvocato, che sentenzia e manda ovunque voglia che l’agir fatale venga punito, e mai nessun domanda se sia opportuno, oppure se sia male”. A spiegazion conclusa, il passo svelto mi allontanò da sì lercia famiglia di quei che verità ebber divelto; e il mio racconto del cammin ripiglia. Ne vidi molti che più volte lessi (non senza un sentimento di rivalsa) che come roghi accesero i processi, pure avallando ogni notizia falsa. Gli sgorbi neri eran numerosi perché manìa diffusa, e mai nascosta, spingeva essi a popolar bramosi ogni angolin di carta ch’era esposta. Sì come i tarli invadono lo legno, e fanno buchi, ed hanno lì giaciglio, invasero ogni pagina di sdegno, di rabbia, di malizia e mal bisbiglio; ognor tenendo in mente un sol pensiero: “colpire la Signora senza posa”, mischiando il falso, il forse, il giusto e il vero ed ammantando di bugie ogni cosa. Sebben tramando, da utili cretini aveva un senso la loro esistenza; qui son sperduti, come dei bambini la cui inutilità è già penitenza. A far l’elenco si verrebbe invasi da mille e anche più fogli ben stampati, e un mese intero ci vorrebbe quasi; per cui dirò sol d’un dei più invasati: v’era Crosetti, simbol di quei tali ch’erano in vita solo per vedere la Zebra a terra, morsa dagli squali, e sol di guerra vollero sapere. Or fan battaglia, cieca e senza idea, e quella condizion li fa impazzire: tutto è casuale, come la marea che non sa mai qual scoglio pria colpire. Mentre nel Mondo ebbero un bersaglio fisso, e dal comun odio illuminato, nel buio van qui a vuoto, entro il serraglio dove convien che paghi il congiurato.
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