Un serpentone di steward in pettorina arancione separava in due ambienti contrapposti la festa ufficiale per la consegna della coppa dello scudetto. Da una parte l’ampio giardino con prato inglese e mobilio per la premiazione calpestato dai fotografi e dagli itineranti accreditati dall’invito, nell’altra un’anticamera come un sobborgo del sogno per quei familiari meno graditi: gli ultras della Juventus. Veramente una bruttissima immagine quel lungo cordone di uomini colorati a troncare in due il cuore pulsante di un trionfo parente di tutti, conquistato sul campo di gioco, ma generosamente propiziato dalle voci organizzatissime della Sud in una consueta e commissionata “bolgia” travolgente di popolo, unito ed indomito. Scordatevi di addomesticarlo, piuttosto sarebbe molto più utile per tutti legittimarlo con un dialogo costante e leale fra le parti...
E’ indubbio che la società mal tolleri la nostra tifoseria organizzata perché non omologabile ed imprevedibile, ma non soltanto la Juventus, ma tutto il mondo del calcio privilegia sempre di più l’aspetto mercantile nel rapporto con i propri tifosi e questo è un male assoluto, ma è anche il segno decadente dell’etica nei tempi. Quest’anno, troppo spesso, sono avvenuti scontri con i nostri tifosi in trasferta. Qualcuno non lo dice e magari neanche è a conoscenza del fatto che se il pullman della Juventus, uno stadio sì e l’altro no, è fatto sistematicamente bersaglio di pietre e sputi dall’immondizia del genere umano, ancora di più sono a rischio i suoi tifosi organizzati e non, in minoranza negli autogrill, nelle stazioni, in prossimità dei caselli autostradali e degli stadi, nelle città ospitanti.
Le battaglie sono conseguenza ultima di una infame guerra mediatica dichiarata subdolamente negli ambiti apparentemente distaccati e pacifici di alcune testate giornalistiche e tv private, in cui si genera e diffonde con predeterminazione il pregiudizio e il dileggio dell’immagine di un club inviso a prescindere aprioristicamente dai fatti. E le generazioni di tifosi si nutrono da anni di questo sentimento accanito di invidia ed avversione profonda. Come in un quadro famoso di Munch l’urlo di terrore qualche volta si trasforma in urlo di vendetta e non resta, se pur animalescamente, che difendersi… Non sono un ultrà, ma per merito del mio sito museo sull’Heysel ne ho conosciuto qualcuno che mi onora della sua stima. Non ho mai contemplato nella mia vita squallide etichette per gli uomini. Intorno a me vedo soltanto uomini e li giudico in branco o isolati come tali. Forse, invece, la Juventus ha lasciato fuori alla porta dorata della vittoria i parenti di cui vergognarsi? Maggiordomi e lacchè non li hanno ritenuti di colpo più presentabili al cospetto della Signora Regina d’Italia ? E poi, vuoi mettere, sporcano con tutti quei fumogeni, quelle bandiere, malvestiti e sudati. Meglio il chiasso amplificato del dj incaricato che festeggiare troppo vicino al popolo, il medesimo che soffiò in rete quel pallone di Giaccherini al 91° contro il Catania spalancando le prime ante sul nuovo mattino tricolore… E poi i bambini dei calciatori si potrebbero persino spaventare…
Mi dissocio da questa squallida epurazione di 8ooo fratelli di fede. Quel cordone di semi-polizia è stato uno sfregio alla fiducia di chi si offre con tutto se stesso alla causa: voce, salute, soldi, chilometri, tempo privato alle famiglie, in cambio di un paio di emozioni forti, di una vittoria. Un insulto a chi ogni domenica potrebbe invadere il campo, per un motivo o per un altro, ma responsabilmente non lo fa… Quel cordone mi ha fatto ancora più male perché mi ha ricordato le immagini della polizia belga a presidiare in rinforzi l’Heysel, al termine della mattanza... Non è mai giusto sentirsi proprietari assoluti della Juventinità. Tutti: presidenti, dirigenti, impiegati, allenatore, calciatori, tifosi avventizi della domenica, tifosi di clubs, ultras. Una presunzione iniqua. Che senso mai avrebbe? La Juventus è un sogno libero, nato su una panchina di Torino, come l’amore acerbo di due adolescenti a novembre… Lasciamocelo ancora lì, così… Eterno e immutabile. Non trasportiamo quella stessa panchina in un centro commerciale, ne’ tantomeno sfasciamola a colpi di bombe carta e di bastone…
Lasciamola lì, ancora dov’è ora, al centro esatto del nostro cuore, avventurieri in un brivido che non si può spiegare, lo stesso per cui un bambino di undici anni morì quel pomeriggio del 29 maggio abbracciato a suo padre, per il quale ancora oggi sbattono liberamente a ritmo migliaia di altre piccole e grandi mani … Un popolo. Unico. Una fede. Impariamo, insieme. La Juve siamo tutti. Non c’è Juventus senza gli Ultras, perché loro sono sempre stati la Juventus. Sotto il sole e sotto la pioggia, nella bufera di neve di Poznan, ad Atene, a Roma come a Crotone, nella gioia e nel dolore, nella festa e nella contestazione, avvinti alla amata sposa da non tradire. Non c’è Juventus senza quei tifosi meno praticanti che a casa raccontano ai loro figli di Sivori e Tardelli, di Bettega e Torricelli, mostrando filmati di repertorio o ritagli di giornale, conservati gelosamente nella scatola di scarpe, 10 numeri indietro. Non c’è Juventus, senza la proprietà degli Agnelli… Ci sarebbe meno Juventus senza Antonio Conte, artefice e patriota del risorgimento bianconero. Non c’è Juventus senza il candore riconoscente della memoria e non basterebbe neanche da sola l’immagine di Scirea a colmarne la distanza fra terra e cielo, icona fulgida della sua storia. Proprio lui, maestro di vita e di convivio che invitava a pranzo dopo l’allenamento, sorprendendo in casa la Mariella e Riccardo, quei “poveri tifosi infreddoliti venuti da tanto lontano”.
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