Mentre riparte il processo per la farsa del 2006, la Juventus, senza la terza stella sul petto, presenta quelli che dovrebbero essere i top player della prossima stagione. Due immagini stranamente stridenti. Una realtà che sembrerebbe, ormai, irrimediabilmente separata. Da una parte la nuova Juve vincente del “front man” Andrea – una specie di ministro senza portafoglio – e, dall'altra, la “vecchia” Juve, più che vincente, di un’ era apparentemente lontana.
Una squadra che poteva essere annoverata, inopinatamente, tra i team più forti al mondo; con la prospettiva vicina dello Stadio di proprietà. Caratterizzata da una gestione oculata e vincente, proiettata, già all'epoca, oltre il mostruoso fallimento del calcio italiano, in quanto pronta a mettere in campo strategie d’impresa sportiva sostenibili, che le avrebbero consentito di rimanere stabilmente nel gotha del calcio mondiale, fino ai giorni nostri.
E’ triste dover constatare che questi due aspetti di una unica storia siano stati irrimediabilmente allontanati; artatamente contrapposti. Nonostante i proclami e gli ammiccamenti di un paio di estati fa – solito “panem et circenses” per il popolo bue – sembrerebbe che le vicende napoletane non interessino per nulla alla “nuova” Juve targata Elkan/Agnelli.
La sensazione è che il presente stia facendo ingiallire e sbiadire il recente passato. Quasi ci fosse la malcelata speranza che quel tempo infausto finisca in polvere, spazzato sotto il tappeto delle lungaggini infinite della in-giustizia italiana.
Eppure c’è qualcosa di profondamente ingiusto in tutto ciò. La storia di un club è la sua anima, il suo blasone, e se qualcuno ancora non lo avesse capito, la nostra storia è stata sottoposta ad un tentativo maldestro e vigliacco di revisione in peius. Se nel Santos non avesse mai militato un certo Pelè; se il Napoli non avesse mai avuto Maradona; e ancora, se nel Grande Torino non avessero giocato, in tempi remoti, dieci undicesimi di giocatori della nazionale italiana; ovvero una Juve senza Sivori, Platinì, Zidane, Del Piero; ed infine, se l’Inter non avesse speso più di un miliardo di euro per vincere qualcosa nel modo che sappiamo, la storia del calcio non avrebbe mai avuto,rispettivamente, né dei club mitici, né il più grande fallimento economico della storia del calcio.
Io non riesco a distinguere, nell’albero genealogico bianconero, un prima e un dopo 2006, se non come un pre e un post farsa. Non posso accettare che una società, se pur indirettamente corresponsabile dello scempio di quell’estate infame, abbia totalmente preso le distanze da quell’accadimento come se nulla fosse mai avvenuto. Ancor di più, atterrisce l’acquiescenza atarassica con cui la F.C. Juventus, dopo tutto il marciume che venuto a galla in cinque anni di processi, continua a porsi di fronte alla protervia inquisitoria e al moralismo d’accatto delle istituzioni sportive e dei loro sodali milanesi. Detto ciò, tornando al processo, ormai non so proprio cosa aspettarmi. Le motivazioni della Casoria, ad un occhio esperto, sembrano sussurrarci: “scussassero lorsignori, ma non potevo proprio fare di più!”. Dovrebbero essere smontabili con facilità sia sul piano fattuale che sotto il profilo giuridico. Molti imputati hanno rinunciato alla prescrizione; cosa assai inusuale dalle nostre parti. Sembrerebbe che nuove intercettazioni inedite verranno prodotte dai difensori.
Eppure, nonostante tutto, ho come l’impressione, guardandomi attorno, che oltre all'imputato principe e ad alcuni arbitri – dei pochi rimasti in gioco – , finiti nel famigerato tritacarne della giustizia per pura “ragion di Stato”, a “nessuno” interessino veramente le sorti della vicenda…………o forse no, più che a nessuno, direi uno, nessuno e qualche milione di tifosi che non accetteranno mai di aver subito un’ ingiustizia di tali proporzioni.
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