Forse i due anni di vittorie casalinghe appena trascorsi hanno alterato la realtà di una Juve che rimane ancora molto lontana dal rientrare a pieno titolo nel gotha del calcio che conta. Forse i quarti fortunosi a cui siamo approdati lo scorso anno in Champions hanno ulteriormente intorbidato la vera dimensione della nostra squadra. Forse, anzi, probabilmente un girone con il peggior Chelsea di sempre e un ottavo contro una squadra mediocre, per poi schiantarsi di fronte ad una squadra di un altro pianeta, hanno illuso i Marotta boys che ci si poteva mettere in saccoccia milioni sonanti con un mercato a costo zero. Errori di valutazione. Fraintendimenti imperdonabili. Forse Conte deve ancora crescere sotto il profilo tecnico–tattico per poter competere a certi livelli. Non basta essere un sergente di ferro. Bisognerebbe mettere in campo squadre imprevedibili; schemi nuovi. Osare di più, quando l’avversario non è il Barcellona. Però, dato per certo che di errori sono stati compiuti sia dagli uni che dall’altro, non possiamo credere che questa sia la vera Juve. Manca lo spirito, ancor prima che nuovi campioni. Troppe distrazioni; poca tensione agonistica e assenza totale di tenuta psicologica. Questo ci ha detto il campo in questo primo scorcio di stagione, restituendoci l’immagine antitetica di una squadra che non è la nostra, o almeno non lo è stata negli ultimi due anni. La Juve di questo primo mese e mezzo di attività agonistica è quella dei Del Neri e dei Cobolli Gigli, dei Melo e dei Diego, non certo la Juve dei Vidal e dei Pirlo. E allora, cosa succede? Come è possibile tanto squallore? Quel secondo goal contro il Galatasaray è da campionato di lega pro. Che non siamo una grandissima squadra lo sappiamo tutti; o perlomeno lo sanno tutti quelli che non sono nati nel 2006. Ma non siamo nemmeno i brocchi che prendono un goal a due minuti dalla fine di una partita cruciale per il prosieguo del cammino in una competizione che, per i destini di un club italiano, in questo momento storico è esiziale.
Sicuramente Conte non ha in mano la squadra che avrebbe voluto. La società non lo ha accontentato. Ma quando lo ha accontentato, invece, chi ci siamo trovati in campo? Isla!!!!
Ecco allora spiegato perché è bene che ognuno faccia il proprio lavoro, rispettando il ruolo per il quale è pagato. Conte andrà via, questo e chiaro. I soldi sono soldi, e noi non ne abbiamo. I giocatori lo hanno capito; lui sta facendo di tutto per far trapelare la sua insoddisfazione, mettendo continuamente le mani avanti. La squadra ne risente. Forse potrebbe essere questa la chiave di lettura.
Tant’è, fosse anche così. Abbiamo mandato via Pierino per lasciare il palcoscenico alla nostra prima donna. Che dimostri fino all’ultimo che non abbiamo del tutto sbagliato, e che la Juve viene prima di tutto, anche prima di lui.
Domenica annichiliamo i figli der go de Muntari senza pietà. Riprendiamoci almeno l’Italia, prima di rinvigorire le velleità di avversari inferiori. Per l’Europa ci sarà tempo, sperando che prima o poi anche dalle nostre parti arrivino sceicchi ed emiri; altrimenti, checché ne dicano i falsari del fair play finanziario, la vedo proprio dura.
Per capire questo concetto non ci vuole Adam Smith. Senza investimenti di un certo livello non si va da nessuna parte. Si può avere la fortuna di un annata magica, ma non si tornerà stabilmente tra i primi sette – otto club al mondo se non si potenzia sensibilmente la nostra capacità di fuoco sul mercato.
Insomma, è avvilente che l’acquisto più costoso di quest’anno sia stato un difensore di buone prospettive. Per il resto, tra costi e ricavi, siamo andati pure in attivo. Pazzesco.
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