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          L'ANGOLO DEL TIFOSO
Articolo di Domenico Laudadio del 04/01/2014 20:50:45
Ora e per Sempre
Reazioni contrarie e discordanti accolgono nel popolo granata e bianconero l’annuncio ufficiale della mostra-convegno del 16 febbraio 2014 a Grugliasco che oserà “affratellare” nel dolore e nella memoria, in risposta a chi le offende bipartisan, le tragedie di Superga e dell’Heysel.

Obiezione principe nelle due tifoserie torinesi, rispetto al titolo e al senso stesso della mostra condivisa, “la diversità” delle due tragedie, il fatto di non “assomigliarsi per niente”. Un vincolo mentale di appartenenza che divide categoricamente i morti in “nostri” e “loro”, come se ciascuno ne fosse proprietario esclusivo in luogo degli unici legittimati, i loro familiari. Quelli che onorano “soltanto gli invincibili” e che rinfacciano all’altra sponda del Po lo scandalo dei festeggiamenti per “la coppa di sangue” e quel rigore fuori area su Boniek, come se i morti di Bruxelles ne avessero la colpa. Quelli del “mai mischiarsi con loro, ognuno a casa propria”, quelli del “lodevole iniziativa, ma…”, quelli di “una è colpa del fato, l’altra si poteva e doveva evitare”. Oppure: “La forzatura di due fatti profondamente agli antipodi”, “due vicende non paragonabili e non condivisibili”, “le colpe sono dei vivi che dovrebbero semmai restituire quella coppa”. O ancora: “C’è dell’altro sotto questa mostra”, “solo ipocrisia, tanto non cambierà niente”, “il perbenismo che vuole riappacificare due tifoserie che non saranno mai in pace fra loro, un volemossebbene”. “Iniziativa falsa e buonista, patetica e servile”. “Mai con quelle merde, mai in quel covo di vipere”. E via, via, discorrendo…

Lo sapevamo. Lo dissi subito a Giampaolo Muliari, Direttore del Museo del Grande Torino, facendo la parte dell’avvocato del diavolo quando mi scrisse in privato proponendomi di realizzare questo progetto, che avremmo percorso un terreno minato e che guerra e pace avrebbero passeggiato a braccetto per il Valentino. Ma il sasso nello stagno oramai è stato tirato… Sondiamo, quindi, inesorabilmente le profondità dell’animo umano, gli abissi di un preconcetto di parte e di comodo, stanando quelli che si nutrono soltanto di odio e di rancore o di ragioni puerili di fronte alla familiarità naturale della morte nel genere umano, dialogando in futuro soltanto con gli altri. Perché mai sorelle? Innanzitutto per quella parentela strettissima che ci accomuna in ogni lacrima versata a causa di un’improvvisazione prematura della signora delle tenebre che non guarderà mai il sesso, l’età, il colore della pelle o delle sciarpe degli uomini. Entrambe hanno abitato nello stesso appartamento, quello del calcio, nel condominio dello sport italiano. Fatalità un aereo che cadde, ma non di meno il destino segnato di quanti nello stritolamento e nel soffocamento sfuggivano terrorizzati all’assalto di un’orda di barbari d’oltremanica. La morte non va tanto per il sottile, non si avventura in disquisizioni accademiche separando il bene dal male, non snocciola arzigogolati teoremi astrusi di comparazione fra le sue azioni, filosofeggiando sull’insieme scenografico dei personaggi in cerca d’autore che la incontrano. La morte falcia e basta. I covoni del distinguo li fanno, poi, la storia e alcuni uomini.

E poi chi l’ha detto che due sorelle si devono assomigliare per forza? Non è stato mai scritto di tragedie gemelle… Potrebbero essere figlie adottive o avere in comune giusto uno dei genitori. E nella drammaticità dell’epilogo questi è certamente il muro che sotto alla Basilica di Superga in uno schianto frantuma e incenerisce una leggenda e che a Bruxelles, invece, collassa travolto dal peso infernale di centinaia di oppressi braccati dalle belve rosse. Disteso in terra, sul colle come sugli spalti, il raccolto di un martirio precoce. Sciagure del calcio e per il calcio, con un marchio di crudeltà per tatuaggio. E cambia veramente poco se la dinamica fu altra, non importa se qualcuno ha molto mitizzato, altri volontariamente dimenticato, se “loro”, “se noi”… Io dico a tutti: “Se vuoi…”. Non mi permetto di obbligare o, peggio, di giudicare nessuno se non crede o se non viene a questa mostra. Vorrei soltanto esprimere questo pensiero, perché è stato il primo insegnamento dato a mio figlio quando si è affezionato ai colori della mia squadra del cuore: se non riconosciamo l'avversario come tale, ma lo consideriamo al pari di un nemico che attenta alla nostra stessa esistenza, non abbiamo il diritto di pretendere il riconoscimento stesso della nostra bandiera. Davanti al sudario del dolore non ci sono colori degni o indegni, soltanto lacrime e condivisione solidale in nome della stessa natura di cui siamo tutti tifosi, almeno si spera, l'uomo. Ho letto fin troppe parole e insulti ancor peggiori delle parole. I morti di Superga e dell'Heysel indossano in cielo il vestito della festa mentre noi ci accapigliamo per i luridi cenci di una partita di calcio e parliamo tutti il linguaggio degli sconfitti. “Lo sport affratella” dice spesso il mio amico Giampaolo Muliari.

Insultiamoci pure allo stadio, nei limiti, ma davanti ad una lapide dove è stato versato sangue innocente, MEMORIA, ONORE e SILENZIO. Chiunque voglia far prevalere le sue piccole tesi, rivalse e frustrazioni è complice della vergogna del prossimo striscione in qualunque latitudine.
E vi aggiungo, traendone prezioso insegnamento, le parole di Domenico Beccaria, Presidente dell’Associazione Storica Granata: “Proprio perché morti, non esistono i nostri e i loro. Esiste il rispetto verso vite tragicamente spezzate nel comune denominatore dello sport, che dovrebbe essere motivo di fratellanza e gioia, non di odio e offesa. Unire le due tragedie in una sola mostra è il modo più forte di costringere la gente a riflettere e capire. Se iniziamo a fare dei distinguo tra morti e morti, ci mettiamo al livello delle bestie che fanno i cori e gli striscioni. Né più, né meno. Se qualcuno fa un aeroplano sbaglia, se qualcuno canta sull'Heysel sbaglia, se qualcuno fa classifiche tra i morti e il dolore, sbaglia. Senza se e senza ma. Il dolore ci accomuna e il rispetto. Basta cori e striscioni beceri, basta trincerarsi dietro la scusa puerile “ma loro lo fanno”. Facciamo tutti un passo avanti, verso la civiltà e la ragione, verso il rispetto e l'onore. Noi che sappiamo rispettare i morti, i nostri come quelli degli altri, siamo meglio di loro, quelli che magari indossando i nostri stessi colori, professando la nostra stessa fede, li offendono. Guardando alcune delle immagini di Bruxelles, mi sono sentito colpito profondamente. Vi chiedo di venire a visitare la mostra, dopo la sua apertura, per toccare con mano e capire. Dopo, nulla sarà più lo stesso”.
1 gennaio 2014
Domenico Laudadio
Fonte: www.saladellamemoriaheysel.it
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