Nel Paese in cui nessuno rinuncia alla poltrona, il Signor Giancarlo Abete (64 anni) ha dato le dimissioni: avrebbe dovuto darle molto prima e per ben altri motivi, ma accettiamole e non se ne parli più. Il problema è che al suo posto si sta candidando Carlo Tavecchio (71 anni), ex sindaco, ex consigliere del Comitato Regionale Lombardo della LND, ex vicepresidente della LND ed attuale vicepresidente della FIGC. Essendo il vice d’Abete, si presume fosse in accordo col suo dimissionario presidente, condividendone idee, apertura mentale, equanimità (e la scelta di Prandelli come CT).
Dimessosi il suo capo, che fa quest’esponente del vecchio che non indietreggia? Si candida al suo posto: grandioso. Tanto valeva tenersi Abete. Anche perché il Fatto Quotidiano, per la firma d’Emiliano Liuzzi (ed anche Dagospia) lo riportano come pluricondannato (1970: quattro mesi di reclusione per falsità in titolo di credito continuato in concorso; 1994: due mesi e ventotto giorni per evasione fiscale e dell’IVA; 1996: tre mesi per omissione di versamento di ritenute previdenziali e assicurative; 1998: tre mesi per omissione o falsità in denunce obbligatorie; ancora nel 1998: tre mesi per abuso d’ufficio per violazione delle norme antinquinamento). Non risultando denunce di Tavecchio nei confronti di Liuzzi, Fatto Quotidiano e Dagospia, e col materiale che è ancora in rete, probabilmente deve essere tutto vero.
Non so quali siano i veri motivi che lo rendono sgradito ad Andrea Agnelli: certamente non perché Tavecchio è di provata fede interista. Altrimenti, se l’essere interisti fosse stato un discrimine per la famiglia Agnelli, il signor Guido Rossi, due anni dopo Calciopoli, non sarebbe divenuto consulente della Fiat (fonte: Commissione Nazionale per le Società in Borsa). Ma tra gli Agnelli ci sono varie correnti (“I lupi e gli Agnelli” come scrive Gigi Moncalvo), e probabilmente il nostro presidente non è allineatissimo col ramo non umbertiano della famiglia. Pertanto, senza volere in alcun modo interpretate il pensiero d’Andrea, se il nostro presidente vuol continuare la battaglia per la restituzione degli scudetti, certo non può gradire un emulo di Guido Rossi al vertice della FIGC. Se ha a cuore le sorti del calcio italiano, non può certo gradire dei sopravvissuti su una sedia che deve essere occupata da qualcuno che abbia le capacità ed il carisma di un Artemio Franchi, qualità possedute in misura risibile da chi l’ha seguito finora al vertice della FIGC.
Se Andrea Agnelli non desidera per il calcio italiano la progressiva emarginazione, è chiaro che propenda per qualcuno che parli lo stesso linguaggio di Platini, presidente dell’UEFA, e di Rummenigge, presidente dell’ECA. Per cui, largo ad Albertini, che aveva già anticipato le proprie dimissioni da vicepresidente della FIGC, vista l’impossibilità di arrivare a riforme importanti per il calcio. Oppure a Gianni Rivera, attempato, d’accordo, visti i settant’anni compiuti, ma politico intelligente, certamente preparato per il ruolo e con carisma da vendere. Altri pregi: non si è auto proposto ... e non è interista.
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