Di Calciopoli non si parla più. Ovvero, non se ne parla se non indirettamente e sporadicamente. Spesso grazie a qualche intervento estemporaneo di un intertriste doc che, tornato nel suo alveo naturale di perdente per antonomasia, cerca di rivangare vecchie glorie, figlie di quella ignobile farsa. Purtroppo, però, di Farsopoli se ne parla anche quando qualcuno, in questo caso il nostro presidente, abbocca all’amo del solito giornalista capzioso, che tenta di ricordargli come, se pur ora domina incontrastato un calcio alla canna dell’ossigeno, un tempo ha dovuto subire un'onta non da poco.
E il nostro che fa? Invece di ricordare agli uditori che pende un ricorso da centinaia di milioni di euro e che la società non ha mai accettato quella messinscena mediatica e giudiziaria, mesto risponde che si può perdonare il presunto colpevole di quelle accuse infamanti, ammettendo, implicitamente, che “peccato” vi fu, ed anche grave. Io, di fronte a questi eventi all'apparenza innocui, inorridisco. Perché trattasi di segnali inequivocabili di come nessuno, all’interno della nostra proprietà, abbia l’intenzione, e probabilmente non l’abbia mai avuta, di andare fino in fondo a questa storiaccia che, checché se ne pensi, fino alla sentenza della Cassazione e alla pronuncia del Tar, non dovrebbe essere affatto chiusa.
In realtà, il fatto giuridico in sé non rileva se a monte non esiste – perché non è mai esistita – la determinazione ferrea della “famiglia”, volta ad affermare le verità nascoste dell'episodio più vergognoso della storia calcistica italiana.
È ciò è ancor più rilevante in quanto dimostra in modo incontroverso che gli epigoni dell’avvocato e i loro lacchè di allora, furono corresponsabili, se non addirittura, Dio non voglia, co-promotori, di ciò che accadde in quell’estate infausta.
Rivangare fatti e dichiarazioni richiederebbe tempo e spazio che non abbiamo, ma basti su tutti ricordare le meravigliose dichiarazioni del fantomatico avvocato Zaccone – l’unico difensore della storia forense a chiedere una condanna per il proprio assistito! – nonché quel maledetto ricorso che fu ritirato di fronte alla giustizia amministrativa (recentemente il Boavista è stato riammesso in prima divisione da parte del Tar di Lisbona, in seguito al ricorso presentato nel 2008 dal club quando era scoppiata la Calciopoli portoghese).
E allora, caro presidente, in fondo, la vera domanda è:
chi deve perdonare chi? Cosa avremmo mai da perdonare ad un uomo che faceva né più e né meno di quello che all’epoca facevano tutti i grandi club. Per di più senza avere a disposizione giornali, televisioni e aziende di telecomunicazioni? Gente che senza fare uscire un soldo ai suoi avi, aveva portato la Juve sul tetto del mondo. E non parliamo della squadra che oggi domina il peggior campionato del continente, ma di un club mitico, che probabilmente raggiunse, proprio grazie a coloro che lei intenderebbe “perdonare”, la vetta più alta della sua intera storia.
Noi, o meglio, coloro che non sono nati ieri e che si sono presi la briga di leggere carte e documenti, seguire processi e approfondire gli eventi
cum grano salis, senza farsi abbagliare dalle luci dello stadio nuovo o dalle stelle che, come le tre carte, appaiono e scompaiono, sappiamo bene chi perdonare e chi non perdonare affatto per la vergogna del 2006 e per il
vulnus indelebile che abbiamo subito alla nostra intima e indelebile passione per i colori bianconeri.
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