Il Bel Paese è la patria antica dei furbetti. Il furbetto non è né furbo, né astuto; crede di esserlo per ingannare se stesso, gli altri e il mondo. L’astuzia del furbetto non è la “mètis” dell’antica Grecia, quella di Ulisse.
La mètis viene dall'intelligenza profonda e con essa il suo raffinato possessore può prevedere le cose del mondo e anticiparle; può persino cambiare le sorti di quel mondo (anche con un semplice cavallo di legno).
Ma il furbetto è cosa diversa. Il suo ambiente è il “quartierino” e la sua azione è mirata al piccolo inganno, con l’alterazione delle cose che appaiono, per determinare la voluta apparenza di ciò che non è, ma che invece si può credere che sia. Il furbetto ha sempre il suo contraltare nell'allocco; non c’è furbetto senza allocco. Se qualcuno mi fa credere che sono tante le lune (un giorno una falce, un altro una palla), posso anche crederci, dipende da quanto sono allocco.
Il Bel Paese, dunque, è anche la patria antica degli allocchi. Nel gioco del calcio poi, lo spirito partigiano del tifoso, scatena i furbetti alla massima potenza e alimenta gli allocchi allo stesso regime.
Se l’azione del furbetto trova terreno fertile, annaffiato e coltivato dalla malafede di coloro che sovrintendono l’informazione (o dalla loro medesima essenza di furbetti o di allocchi); allora si esalta l’ingiustizia, travestita (apparenza) da moralità, da regola, da diritto. Il diritto, invece, è allora così perduto, con la legge che lo sovrintende.
Qualche esempio nel mondo del calcio può aiutare a capire. Il Furbetto, ad esempio, sostiene, senza prove, né alcuna sostanza (come sempre), che su un’azione della partita di un certo difendente bianconero vi sia un "fuorigioco evidente" e che, pertanto, tutto il pool arbitrale in campo sia in malafede, ergo, corrotto. Poi si aggiunge subito altra carne al fuoco, sostenendo che quella dei corrotti è faccenda antica, perché gli arbitri furono sempre succubi e corrotti; da quella medesima unica squadra sempre vincente. Ergo, le vittorie e la gloria dei vincitori sono solo fumo, apparenza. Così la verità, dunque, ora è solo apparenza e un'altra verità s’impone, falsa, ingiusta, bugiarda; ma vera agli occhi dell’allocco.
E il furbetto sa che può agire indisturbato, distraendo la giustizia, dato che per lui non v’è mai giustizia. Così che l’arbitro diventa infame e l’infamante (vero infame) arbitro, del bene, del male, di tutte le cose. E’ una questione antica quella dei furbetti ("Mangiate di questa mela e diverrete come Dio" - “Eritis sicut dii”).
Oppure, si può analizzare il caso del difensore furbetto, neroazzurro vestito, che oggi lamenta niente meno "l’antisportività" di colui che da lui fu massacrato; talché la giustizia (apparente) sarebbe stata quella di tacere di fronte all'ingiustizia subita e non già di lamentarsene "ingiustamente".
Oppure, si può discutere del furbetto allenatore giallorosso, che invero nessun torto reale subì nella sua magistrale partita della vita (come accertarono illustri esperti arbitri internazionali), ma che gridò ai quattro venti, ogni dì che il buon Dio mandò sulla terra, la sua rabbia sfortunata, la sua vendetta smisurata per (l’apparente) ingiustizia subita. Talché ogni allocco, a bocca spalancata, ne ascoltò il verso strillato e poi infine disse la sua, come responso oracolare, con dignità di profeta. E le false "profezie" poi si avverano e con esse la vera ingiustizia.
I furbetti non guardano il loro orticello (quartierino), mai. I loro piccoli occhi, non certo di lince o di falco, sono sempre fissi sul mondo degli altri, quegli altri per i quali hanno invidia. Coloro che sono tutto ciò che essi avrebbero voluto essere, se non fossero rimasti soltanto dei piccoli furbetti e allocchi.
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