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          L'ANGOLO DEL TIFOSO
Articolo di Mauronero del 12/10/2016 21:25:38
2006 - 2016. La farsa nella farsa.
All’indomani della “non” decisione del Consiglio federale del 18 luglio 2011, con la quale l’organo di giustizia sportiva si pronunciò nel senso della “non” decisione in merito all’assegnazione dello scudetto del 2006, quello che un noto opinionista televisivo di fede bianconera definì, a ragion veduta, lo scudetto di merda e di cartone, il presidente Andrea Agnelli rilasciò delle dichiarazioni molto dure.
Ne riporto alcuni passaggi cruciali, reperibili su qualsiasi testata giornalistica dell’agosto dello stesso anno.

“La società ha confidato sin dal 2006 nella giustizia sportiva pagando a carissimo prezzo. Sono poi emersi alcuni fatti nuovi, principalmente dal processo di Napoli, che sono stati elaborati dal procuratore della Figc, Stefano Palazzi, dopo l'esposto da noi presentato per avere parità di trattamento nell'ambito della federazione. C'è stata una disparità di trattamento totale e per noi questo è inaccettabile, visto che è lo stesso sistema che nel 2006 ha lapidato la Juventus ed ora si scopre incompetente”.
E ancora: “metterò la parola fine nel giorno in cui riporteremo quei due scudetti nella nostra bacheca. Sono nostri!”.

Sono passati più di cinque anni da quel mese di agosto, anni in cui la giustizia ordinaria e quella amministrativa hanno posto una pietra tombale sulla farsa del 2006, ma i nostri scudetti, vinti sul campo, non sono ancora tornati “in bacheca”, anzi, uno dei due luccica e rifulge di un abbagliante marrone, nelle vetrine appannate e in dismissione della seconda squadra di Milano.
Le promesse e le affermazioni caustiche del nostro presidentissimo si sono perse come “lacrime nella pioggia”. Nel tempo hanno rivelato tutta la loro inconsistenza e, probabilmente, anche la doppiezza delle reali intenzioni che celavano.
Il ricorso al TAR del Lazio – ancora nessuna notizia sull’eventuale impugnazione al Consiglio di Stato – è stato l’ultimo atto delle procedure giurisdizionali attivate dai difensori della Juventus per riaffermare almeno la parità di trattamento nel giudizio sui comportamenti sportivi, e riappropriarsi di quanto fu turlupinato attraverso la “Blitzkrieg” messa in atto contro la Juve durante l’infausta estate del 2006, oltre che richiedere il ristoro degli ingenti danni patiti in seguito alla retrocessione in serie B, accompagnata dalla dismissione/saccheggio di una delle squadre più forti d’Europa.
Aggressione repentina e fulminea alla nostra storia e ai nostri colori, da parte di una serie di soggetti (giornali, importanti aziende nazionali, istituzioni sportive, investigatori privati e non), non tutti, purtroppo, nemici di vecchia data.
Altrettanta velocità non fu utilizzata quando bisognò indagare e decidere circa gli illeciti sportivi di altri; ma gli investigatori, sin dal principio, aveva ben chiaro quale fosse l’obiettivo, e di conseguenza quali intercettazioni fossero da “baffare” e quali no. Comunque, questa è un’altra storia (anzi, forse la storia è proprio questa!).
Come dicevo, il ricorso al TAR doveva essere decisivo per richiedere che fosse accertata la solare disparità di trattamento venuta alla luce allorché il solerte collegio difensivo di Moggi scoperchiò il vaso di pandora delle intercettazioni di altri club, e posta in essere dagli organi giudicanti e dalle altre istituzioni sportive facenti capo alla FGCI. Soggetti e personaggi che quando si trattava di squadre diverse dalla Juve, apparivano “incompetenti” per statuto.
In realtà, il ricorso alla giustizia amministrativa, fin dalla sua genesi, si manifestò da subito quale farsa nella farsa: il classico fumo negli occhi.
Nessuno poteva credere realisticamente – probabilmente neppure chi lo propose – che un giudice, per di più appartenente alla giurisdizione amministrativa, avrebbe condannato la FGCI al pagamento di un risarcimento spropositato, decretandone di fatto la bancarotta.

Ed Infatti, come da copione, anche il TAR del Lazio, lo scorso settembre, ha respinto il ricorso attraverso motivazioni che, a ben vedere, non decidendo il merito della questione, ma ponendo una discutibile questione procedurale, rientrano a pieno titolo nel solco tracciato dai dicta della giustizia sportiva, ossia la pilatesca pronuncia di non poter decidere.
Che il finale beffardo del pasticciaccio farsopolaro dovesse essere di questo tenore, lo si era capito fin da quando la giustizia ordinaria, nei vari gradi di giudizio, ha fatto strame della realtà fattuale, condannando una presunta cupola che in definitiva era sprovvista dei principali associati, ossia gli arbitri. Come condannare qualcuno per associazione mafiosa senza che tra gli associati ci siano assassini, estortori, intimidatori, ossia veri e propri esecutori materiali di reati di stampo mafioso.
Coloro che soli avrebbero potuto compiere il misfatto, i giudici di gara per l'appunto, alla conta finale, sono stati assolti quasi tutti, e quei pochi che hanno subito una condanna, come il famigerato De Sanctis, sono stati condannati per imputazioni riguardanti partite in cui non giocava la Juve.

Ad onor del vero, il giudice del secondo grado, la Casoria, ci provò, sottotraccia, sia durante il processo che nel contenuto stesso della sentenza finale, a far capire che si trattava di una mezza farsa, sottolineando in motivazione, tra le altre cose, che “il dibattimento in verità non ha dato, del procurato effetto di alterazione del risultato finale del campionato di calcio 2004/2005 a beneficio di questo o quel contendente” . Purtroppo, per motivi oscuri, che sfuggono a noi poveri mortali – basti pensare che è stato l’unico giudice nella storia del processo italiano ad essere ricusato dall’accusa (di solito sono i difensori a ricusare il giudice) per ben tre volte – la Casoria non ebbe il coraggio di pronunciare una sentenza conforme al suo reale convincimento.

In definitiva, siamo stati mandati in B senza uno straccio di fatti che provassero: campionati manipolati; arbitri sottoposti a coercizione o pagati per far vincere la Juve; partite alterate o sorteggi truccati (anche questa ipotesi sbugiardata pesantemente dalla Casoria, per non parlare del famoso video fantasma, scomparso nelle segrete stanze della procura di Napoli). Niente di niente. Semplicemente allucinante.
Nelle motivazioni della Cassazione di qualche mese fa, campeggiano ancora storie e fatti travisati, se non completamente fasulli, come il famigerato sequestro di Paparesta, smentito dagli stessi giudici calabresi.
I giudici di legittimità hanno avuto l’ardire di sostenere che le reti televisive e i giornali sportivi fossero veicoli del potere moggiano; si parla di uno “strapotere esteso anche agli ambienti giornalistici ed ai media televisivi”.
E tutto per colpa di Alde Bisgardi (sig!!).
Mediaset; Rai radio televisione romana; la rosa e i suoi giornalisti che facevano i confidenti per gli investigatori; tutti erano al soldo di Moggi.
Le reti del Berlusca, padron del Milan, erano sottomesse a Lucianone.
Basta questo per capire di cosa stiamo parlando. Un esempio fulgente di come la verità processuale possa diventare una delle migliori barzellette della storia patria.

Ciò che fa più male in tutta questa storia, accompagnato dal persistente senso di disagio che ci accompagna da anni, scaturisce non solo dalla convinzione di aver subito un’ingiustizia sesquipedale, ma anche dal sentore disturbante che di questa ingiustizia si siano resi corresponsabili anche coloro che più di tutti avrebbero dovuto tutelare la nostra storia e il nostro nome fino alle più estreme conseguenze.

Il ricorso al TAR unitamente alla richiesta di risarcimento per 444 milioni di euro – accompagnata da anni di silenzio tombale e colpevole, nonostante le continue dichiarazioni insultanti su Calciopoli dei prescritti per antonomasia e degli antijuventini di professione e nonostante gli sberleffi che subiamo dalla FGCI ogni qualvolta la nazionale viene a giocare a casa nostra – è, ahinoi, l’ultimo specchietto per allodole propinatoci dai nostri, la prova che il predetto sentore è un vero e proprio olezzo disgustoso che ci porteremo fino alla tomba, a dispetto delle risurrezioni, delle vittore e del tempo, per nulla galantuomo, che scorre impietoso e impetuoso sulla più grande farsa della storia del calcio italiano.

Per trenta denari Giuda tradì un amico. Spero che un giorno riusciremo a capire per quale vergognoso corrispettivo è stata venduta la nostra storia, la fiducia dei tifosi e i nostri colori. L’unica certezza è che in cambio dell’onta ottenemmo, con un sospiro di colpevole sollievo, pene “congrue”: serie B, penalizzazione e, soprattutto, due scudi vinti sul campo, stracciando gli avversari in campionati regolari.

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