Lo stile-Juve, nel suo significato più grande, più nobile. Emblema della correttezza, della classe, della signorilità in campo e fuori, un gentiluomo che stava sopra tutti, dallalto dei suoi maestosi silenzi. Linizio alla Juventus non fu facile, leredità di Salvadore non era leggera. Ma Boniperti e Parola credevano fermamente in lui. Arrivava dallAtalanta dove Heriberto Herrera e Titta Rota lo avevano plasmato, impiegandolo prima come mezzala e poi definitivamente come battitore, vista la sua visione di gioco, il suo tempismo e labilità nelluscire palla al piede. Ma linvestitura nel ruolo che lo ha consacrato nel mondo fu abbastanza casuale. Nella primavera nerazzurra (campione dItalia sotto la guida del giovane Castagner) si ruppe una gamba Belotti, il libero titolare e Gaetano lo sostituì positivamente. In prima squadra sostituì il titolare della numero 6 Savoia a Cagliari, contro Riva. Finì 0-0, lo stesso la domenica dopo col Napoli. Savoia rientrò a San Siro col Milan, e lAtalanta fu sepolta da 9 reti. Scirea rapparve come libero contro lInter di Mazzola e Boninsegna, e fu ancora 0-0. La maglia fu sua. La sua evoluzione tecnica si completò in 4 anni: dai timidi esordi in bianconero nel 74 alla consacrazione nel mondiale argentino del 1978, nel quale fu valutato come terzo miglior libero dopo Passarella e Krol. I critici in principio erano scettici, dicevano riprendendo il giudizio di Bernardini che non sapesse colpire di testa, che non avesse personalità per guidare il reparto, che non fosse abbastanza cattivo per fare il difensore. Il gol di Zuidema a Torino, quando il Twente di Enschede eliminò la Juve in una semifinale UEFA, gli valse molti giudizi negativi, ma Gaetano tirò dritto e la società con lui. Dino Zoff dallalto del suo carisma ne prendeva pubblicamente le difese. Con Morini e Gentile in marcatura, Cuccureddu sulla fascia e Furino a coprirlo negli sganciamenti Scirea formava un pacchetto difensivo che fu per anni fra i migliori dEuropa. Esplose definitivamente anche in azzurro e raccolse il testimone di Facchetti, Bearzot stravedeva per lui. Una carriera straordinaria, nel 1988 si congeda in sordina, dopo aver fatto da chioccia a Roberto Tricella, erede designato e però delusione in bianconero. Boniperti quindi lo chiamò subito per fare apprendistato come vice di Zoff in panchina. E proprio in questo ruolo, in missione in Polonia per spiare il Gornik Zazbre avversario di coppa, muore a 36 anni in un incidente stradale. E stato il lutto più doloroso, nella storia della Juventus. Al suo funerale una folla immensa. Era amato da tutti, non aveva nemici neppure fra le tifoserie più avverse al bianconero. Tarantini, durissimo difensore campione del mondo con lArgentina di Menotti, disse: Per nessun avversario mi sarebbe dispiaciuto così tanto. Era un vero signore, il giocatore più leale che abbia conosciuto. La sua tomba nel piccolo cimitero di Morsasco riflette la sua assoluta modestia. Un uomo riservato, che non aveva bisogno di urlare per farsi sentire, o di apparire per farsi considerare. Una volta un cronista, alla fine di unintervista, disse al Trap: Un tipo piatto questo Scirea. E Giovanni: Piatto lo dice lei. E solo uno che non ama la platealità. Ricordi che dietro a certi tipi si nascondono uomini veri.
Un aneddoto dà la dimensione del personaggio. Lo racconta egli stesso, nellaudiocassetta da lui realizzata a fine carriera. 1975, il suo primo scudetto. Dopo la vittoria del campionato andammo in un locale di Torino a festeggiare e facemmo molto tardi. Rincasai a piedi: mentre passeggiavo, ormai era lalba, vedevo gli operai che aspettavano gli autobus alle fermate per andare al lavoro. Non so perché, ma provai un senso di vergogna. Mi sembrava di aver avuto troppo dalla vita, io semplice ragazzino scudettato.....
Cè la testimonianza di uno scrittore che vale la pena citare. Roberto Mussapi, nel suo La polvere e il fuoco, dedica un paragrafo ai mondiali vinti dallItalia, e queste parole a Scirea: ....Ma lui, che anticipava come non avendo avversario, che combatteva col tempo e non colluomo.....E non fu necessario alcuno scontro, sempre agì di previsione, sempre determinò il lancio in solitudine, nel cuore della partita ed estraneo al suo strepito, al tumulto di Gentile e Tardelli, alla rapida corsa di Bruno Conti, alle frecce di Rossi. Giocò la partita danticipo, contro un avversario invisibile: lineare, apollineo nel correre, silenzioso. Lui, più di tutti, ricordo.....
Un campione di serietà, di sobrietà, di eleganza, di misura. Addirittura, forse, fuori dal tempo. Sarebbe bello che i tifosi che occupano la curva a lui dedicata, e i divi che di fronte ad essa si esibiscono, ne onorassero sempre la memoria con i comportamenti, tentando di emularne il garbo, leducazione, la pulizia morale. Non ricordiamoci di Gaetano solo per veloci commemorazioni, per le rituali formazioni ideali del secolo.....
552 partite in bianconero, primatista assoluto della Juventus, con 32 reti. Per 4 anni capitano. 7 scudetti, due coppe Italia, tutte le coppe europee più la Supercoppa e lIntercontinentale. 78 volte nazionale (2 i gol), tre mondiali giocati, campione del mondo in Spagna. Eletto miglior libero di quella rassegna dell82, considerato dalla Federazione di Storia e Statistica Mondiale (IFFHS) fra i dieci giocatori italiani più forti di ogni tempo.
Tratto dal libro " Novissimo Gobbo" |