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Attualità di F. ZAGARI del 15/05/2009 16:24:19
Per un pugno di euro

 

La Juventus ha presentato ricorso, presso l'Alta Corte di giustizia del Coni, dopo la conferma in appello della sentenza del Giudice Sportivo che imponeva ai bianconeri un turno a porte chiuse nelle gare di campionato, dopo la vicenda dei cori contro Mario Balotelli nel match casalingo del 18 aprile con l'Inter. E per chi è juventino questa è già di per sé una notizia. Se poi si pensa che il ricorso, questa volta, non è stato ritirato e che, l'Alta Corte di Giustizia, composta dal Presidente dott. Riccardo Chieppa, e dai componenti, dott. Alberto De Roberto e prof. Roberto Pardolesi, ha sospeso l'esecuzione della decisione impugnata fino al 15 maggio 2009, fissando l'udienza per l'esame della sospensiva e del merito al 14 maggio 2009 e disponendo la comunicazione della presente ordinanza alle parti tramite i loro difensori, non può non tornare alla mente qualcosa che non andò esattamente così.

E allora mi viene ancora di più da pensare e chiedermi: ma come, allora non si difese la storia di una società creata da coloro che oggi danno la possibilità ad altri di sedere su poltrone importanti, e si scende in “pista” per un pugno di euro?
Non discettiamo di alta strategia dell'arte forense, ma cerchiamo di rimanere sui principi base della professione. La storia di Calciopoli la conosciamo oramai tutti, o quasi, ma è importante, per non dimenticare, riproporre un determinato passaggio, che in seguito collegheremo ad un pezzo scritto da un amico.

Allora la proprietà allontanò i propri dirigenti, dichiarandosi praticamente colpevole, e, nonostante la copertura mediatica a disposizione (Corriere della Sera e La Gazzetta dello Sport sono quotidiani di RCS, nel cui CDA c’è l’influenza come azionista della Giovanni Agnelli & C. SAPA), assistette inerte ed impassibile allo scempio mediatico che fu perpetrato ai suoi danni. Salvo poi presentare il famosissimo ricorso al Tar.
Prima di proseguire c’è bisogno di una premessa: se tu, avvocato difensore, ritieni di avere delle armi da giocare, chiedi un incontro con il giudice e il PM, nel periodo che intercorre tra il processo ed il verdetto, e gli fai notare che, se il responso sarà giudicato troppo severo, le userai, ricorrendo al tribunale amministrativo. Ma come sappiamo tutto questo non accadde, né prima, né dopo. E quel ricorso divenne la classica mossa politica per mettere a tacere lo scontento della tifoseria.
E allora Zaccone perché si mosse in quella direzione? Semplice, perché fu la proprietà a chiederglielo, proponendolo come attore non protagonista di una vicenda che segnerà per sempre il futuro della Juventus. Zaccone non è un incompetente, come molti credono o credevano, e se avesse avuto mandato di difendere la Juventus si sarebbe mosso in maniera completamente diversa.
Pensate: si è espletato in due settimane un procedimento che avrebbe richiesto almeno 6 mesi solo per un corretto iter investigativo; si cassò, per motivi di tempo, un grado di giudizio, impedendo agli imputati di portare testimoni, dossier e filmati a loro discolpa, concedendogli solo 15 minuti per un’arringa difensiva; non furono forniti agli avvocati difensori degli imputati i testi integrali delle intercettazioni, adducendo che non erano pertinenti; infine non fu assegnato un titolo ad una squadra, la Juventus, per assegnarlo ad un'altra, l'Internazionale, ancor prima del pronunciamento del verdetto del primo iter istruttorio.
Non è un problema di giustizia ordinaria o sportiva: in ogni paese che si definisca civile, eventuali pene e sanzioni devono essere comminate dopo che sia stato verbalizzato un verdetto di colpevolezza, mai prima. Eppure quella difesa si fece massacrare senza muovere un dito, facendosi disassegnare il titolo e facendo stilare i calendari per i campionati e le coppe europee. Salvo successivamente minacciare di andare al TAR e non facendolo presente in camera caritatis dopo aver chiesto un incontro con Ruperto, Sandulli e Palazzi, ma strombazzandolo sui giornali, che almeno in questa circostanza svolsero appieno il volere dell’azionista di maggior influenza.
Se a tutto questo si aggiunge che la pubblica accusa formulò le sue richieste di condanna ancor prima dell’inizio del dibattimento, in pratica quello che accadeva in Unione Sovietica, rimane evidente come il “cliente” svolse il volere di chi lo pagò.

E’ notizia di poche ore fa che l'Alta Corte di Giustizia del Coni, dopo la sospensiva concessa sul ricorso della Juventus, entrando nel merito della sanzione comminata dal giudice sportivo Tosel per i dieci cori ritenuti razzisti contro Balotelli, ha respinto il reclamo juventino e disposto che una gara dei bianconeri si debba giocare allo stadio Olimpico di Torino a porte chiuse. Nel rigetto del ricorso l'Alta Corte ha disposto la compensazione delle spese tra Juve e Figc, mentre per le motivazioni ci sarà da attendere ancora.
Certo, le motivazioni, e perché mai attendere? Nell’ordinanza appare abbastanza chiara la motivazione: “…ritenuto che con ordinanza dell'Alta Corte di giustizia sportiva 30 aprile 2009 è stata disposta la sospensione dell'esecuzione della decisione impugnata fino al 15 maggio 2009, sull'opportunità di acquisire la motivazione della decisione della Corte di Giustizia Federale della F.I.G.C., pubblicata solo nel dispositivo, non essendo allora decorso il termine relativo e della complessità della questione proposta, che consigliava che l'esecuzione avvenisse solo dopo l'acquisizione della motivazione anzidetta; considerando che con separata decisione, in corso di pubblicazione nel dispositivo, è stato rigettato il ricorso, per cui deve essere, senza altra considerazione, esclusa la sussistenza di un fumus boni iuris, l'Alta Corte rigetta l'istanza di sospensiva”. E sì, perché carte alla mano è lampante che manchino i requisiti necessari per ottenere l'ammissione a determinati benefici.
Facciamo un passo indietro? Seguitemi. Era il 4 novembre 2007, stesso stadio, stessa partita. Era la prima dei bianconeri contro l’Inter dopo l’anno di purgatorio in serie B e la sfida dell’Olimpico aveva acceso (se mai ce ne fosse stato bisogno) la voglia di riscatto nei confronti di chi, dopo lo scoppio di “calciopoli”, aveva indossato uno scudetto vinto sul campo dai bianconeri, spargendo nell’estate del 2006 parole di veleno. Quelle frasi di circostanza, tutti (a partire dall’opinione pubblica) le avevano imparate a memoria, come fossero una preghiera. Quella sera, per qualche minuto, nel secondo anello del settore Nord dello stadio Olimpico, venne esposto uno striscione che recitava “Ibrahimovic zingaro infame”. Il fatto non fu riferito nè dagli Ufficiali di gara nè dai rappresentanti della Procura federale, ma il giudice sportivo inflisse 20 mila euro di multa alla Juventus per lo striscione esposto dai tifosi contro il campione svedese. Il comunicato, scarno, recitò testualmente: “palese è la rilevanza disciplinare dell’insulto in quanto espressione di un intento discriminatorio per motivi etnici”. Detta in soldoni la Juventus fu ritenuta colpevole, indirettamente, di razzismo.

Ora la parte tragicomica dell'intera vicenda.
Quella tragica: “La Juventus ha preso atto della decisione dell'Alta Corte e continuerà a impegnarsi per diffondere i valori di tolleranza e rispetto che fanno parte della propria storia”. Così la Juventus ha commentato la decisione dell'Alta Corte di Giustizia del Coni che ha respinto il ricorso contro la sanzione di un turno a porte chiuse decisa dal Giudice sportivo per i cori razzisti rivolti al giocatore interista Mario Balotelli.
E sì, la Juventus ha preso atto. E mi chiedo: di cosa? Ma come, prima si sostiene che non sussisteva la reiterazione dei gesti di di razzismo (i cori contro Mario Balotelli), scoprendone invece la recidività (lo striscione contro Zlatan Ibrahimovic), poi, come se nulla fosse, si prende atto della decisione dell’Alta Corte, precisando che la società continuerà ad impegnarsi per diffondere i valori di tolleranza e rispetto - e qui arriva il bello - che fanno parte della propria storia. E allora continuo a domandarmi: gli Avv.ti Luigi Chiappero, Michele Briamonte e Maria Turco, difensori della parte ricorrente, possibile che non abbiano preso visione dell’articolo 11 (Responsabilità per comportamenti discriminatori) del nuovo codice di giustizia sportiva? Al comma 3 si legge testualmente: “Le società sono responsabili per l’introduzione o l’esibizione negli impianti sportivi da parte dei propri sostenitori di disegni, scritte, simboli, emblemi o simili, recanti espressioni di discriminazione. Esse sono altresì responsabili per cori, grida e ogni altra manifestazione espressiva di discriminazione. In caso di violazione si applica l’ammenda non inferiore a € 20.000,00 per le società di serie A, l’ammenda non inferiore a € 15.000,00 per le società di serie B, l’ammenda da non inferiore a € 10.000,00 per le società di serie C, l’ammenda non inferiore a € 500,00 per le altre società. Nei casi di recidiva, oltre all’ammenda si possono applicare, congiuntamente o disgiuntamente in considerazione delle concrete circostanze del fatto, le sanzioni di cui alle lettere d), e), f) dell’art. 18, comma 1.
Nei casi di particolare gravità e di pluralità di violazioni, alle società possono essere inflitte, oltre alle sanzioni precedenti, la punizione della perdita della gara ovvero le sanzioni di cui alle lettere g), i), m) dell’art. 18, comma 1”.

Al “Titolo II” del CGS (Sanzioni), l’articolo 18 comma 1 recita : “Le società che si rendono responsabili della violazione dello Statuto, delle norme federali e di ogni altra disposizione loro applicabile sono punibili con una o più delle seguenti sanzioni, commisurate alla natura e alla gravità dei fatti commessi” . E guarda caso alla lettera “d” del comma si legge: “obbligo di disputare una o più gare a porte chiuse”.

La parte comica, ma non troppo. Abbiamo potuto assistere, per mano della proprietà, al disfacimento della squadra, in quel momento più forte del mondo, perché un proprio legale non impugnò il quantitativo industriale di “armi” che aveva a sua disposizione per smontare, pezzo a pezzo, una sentenza (quella di “calciopoli”) che non aveva né capo e né coda, per una reale ed indiscutibile mancanza di prove e fatti. Oggi, invece, abbiamo assistito al ridicolo tentativo di ben tre rappresentati legali di presentare un ricorso, addirittura all’Alta Corte Federale, perché non sussisteva, secondo gli stessi, la reiterazione dell'atto di razzismo, smentito indiscutibilmente dall’articolo 11 comma 1 del CGS, che ha preso in esame la recidività dopo la vicenda Ibrahimovic.

Un amico ha recentemente scritto queste parole: “…dalla morte del Dottor Umberto Agnelli la Juventus è tornata ad essere un giocattolo che và usato quando conviene e per cui non vale la pena di sforzarsi per tutelarlo. Con Giraudo al timone, uno che non ci teneva ad essere simpatico e che conosceva bene il peso della Juventus, nessuno provava a prendersi gioco della società perché in un attimo si sarebbero trovati il club iscritto alla Premiere League e una Serie A con le pezze al culo senza i 12 milioni di tifosi davanti alla TV, oggi che nessuno tutela la Vecchia Signora è invece facile fare i propri interessi e lasciare gli scarti…”.
Per le responsabilità basta suonare in Corso Galileo Ferraris, laddove c'è un continuo impegno per diffondere i valori di tolleranza e rispetto, alimentati da un pugno di euro, e non certo dalla storia.

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