Siamo di fronte al riacutizzarsi del male che ha seminato calciopoli: il diffuso sentimento popolare.5 marzo 2005. Roma Juventus. Cannavaro e Del Piero siglano il 2 a 1 per la Juventus con una rete viziata da fuorigioco e un rigore da fuorigioco e fallo fuori area (
Link ). La partita finisce tra i capi d’accusa di calciopoli. Ma davvero Luciano Moggi “ha truccato” questa partita? A 36 ore circa dall’udienza dell’Appello di Napoli che dovrebbe giungere alla sentenza di secondo grado, Nicola Penta, il perito informatico che ha curato l’ascolto delle 170.000 telefonate circa trascurate dall’accusa, tra le quali tutte quelle che giocavano a favore delle difese, ha estratto l’ennesimo asso dalla manica in grado di stravolgere il corso del processo e le tesi di farsopoli.
Come spiega Tuttosport (
Link) ripercorrendo alcune tappe cruciali del procedimento di primo grado, questa partita è uno dei capisaldi dell’accusa, perché la
designazione di Racalbuto, ancora sotto processo contrariamente all’assistente Pisacreta, indagato e già prosciolto,
è considerata fraudolenta, anche se l’arbitro subì per i due errori un fermo di ben 9 giornate, che arrampicandosi un poco sugli specchi fu spiegato dalla sentenza di primo grado come una mossa per non insospettire. Nell’intercettazione in questione Racalbuto commenta i fatti con Meani, l’addetto agli arbitri del Milan, con toni coloriti, lamentando a tinte forti che Pisacreta gli ha mandato all’aria la partita e che ha avuto una sfiga enorme ad essere designato per quell’incontro. Salta il teorema, evidentemente, perché Racalbuto a tal punto non era sodale con l’organizzazione di Moggi da disperarsi tanto per la designazione quanto per come è andata la partita. Anche se c’è da rilevare ancora una volta che le evidenze di calciopoli sono state tutte preconfezionate e congelate in attesa di una condanna che ha avuto sempre tutte le caratteristiche dell’ineluttabilità di stampo kafkiano. In un contesto nel quale il solo Moggi, con l’ausilio dei suoi avvocati e dei suoi consulenti, non ha mai voluto accettare kafkianamente un epilogo che sente non suo nonostante una radiazione assolutamente prematura che appare sempre più ingiusta.
Ma c’è di più. E’ la partita del ritorno a Roma di Capello e Emerson in maglia e panchina bianconera.
Racalbuto descrive con toni allarmati l’ambiente ostile nel quale gli è toccato di arbitrare, raccontando scene che purtroppo a distanza di 8 anni sembrano tratte dalla cronaca (nera) calcistica di un’ordinaria trasferta bianconera: l’autobus della Roma assalito dai suoi stessi tifosi perché scambiato per quello della Juventus. In un clima arroventato da episodi di violenza che avrebbero condotto qualunque terna arbitrale a uno stato confusionale che avrebbe potuto compromettere l’esito del risultato del match. Una storia davvero brutta che si ripete costantemente anche negli ultimi tre campionati, compreso quello in corso, quando la squadra bianconera tocca trasferte calde come ad esempio quella napoletana. Con ancora maggiore frequenza da quando è tornata a vincere e non raccoglie più le simpatie inconsuete del primo postcalciopoli. Una situazione aggravata dal cattivo utilizzo di regolamenti e sanzioni da parte della federazione che, fino a toccare il caso limite della multa contro i bambini che avevano occupato la curva squalificata dello JS, tende sempre a sminuire gli episodi legati alle tifoserie avversarie e a fare delle sanzioni contro la Juventus quello che avevamo giudicato a torto forse come uso esemplare.
In realtà siamo piuttosto di fronte al riacutizzarsi del male che ha seminato calciopoli:
il diffuso sentimento popolare. Mai sopito, viene colpevolmente sostenuto dai media, ancora in gran parte di proprietà del padrone del Milan e della sua scuderia, colui che pagava lo stipendio a Meani, quando non si approfitta di ogni spunto che dia l’assist a continue polemiche contro l’universo bianconero. Per qualche copia in più, per una fetta di share maggiore. Ne è consapevole anche Meani, che preannuncia nell’intercettazione il lungo stop di Racalbuto, fatto a pezzi dal Corriere dello Sport,
a testimonianza che il potere mediatico non stava dalle parti di Moggi e del Processo del lunedì, né della Rai.
Su Roma Juventus del 5 marzo 2005, nonostante i giudizi del Messaggero e del citato Corriere dello Sport, per non parlare di Totti che dichiarò che non si poteva giocare sempre in 11 contro 14 (contando a favore della Juve la terna arbitrale), La Gazzetta dello Sport tuttavia scrisse:
“Totti sveglia la Roma e lancia Cassano che segna in fuorigioco. Ibrahimovic segna su assist del solito Camoranesi, ma l’assistente Ivaldi sbandiera un fuorigioco che non c’è. Racalbuto non vede un pugno di Cufré a Del Piero” . Giova ricordare anche l’episodio dell’intercettazione con la quale Bergamo ammoniva il quarto uomo Gabriele riguardo al fuorigioco sul gol di Cannavaro dopo il primo tempo e segnalata da Auricchio a vantaggio della difesa. In aula si accertava l’interesse di Bergamo non essere a vantaggio della Juventus ma quanto meno per il corretto svolgimento della partita, nonostante venga ancora accusato di essere sodale della cupola. Gabriele ha dimostrato che il telefonino era di sua proprietà ed è stato prosciolto (
Link ). Dopo un guasto lo aveva conservato solo perché conteneva le foto della figlioletta neonata.
Domani si torna in scena. Spetta al giudice Silvana Gentile e i giudici a latere Roberto Donatiello e Cinzia Apicella questa volta rendere giustizia ai fatti e alle persone. Che sia la volta buona.
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