Sono passati quattro anni. nel 1986 il Mundial si giocò in Messico. Un Messico lacerato, massacrato da uno dei terremoti più devastanti della storia recente. Un Messico che provava a rinascere grazie al calcio, grazie alla sua kermesse più prestigiosa.
Arrivammo in Messico da campioni del mondo in carica. Enzo Bearzot era diventato più semplicemente "Nonno" Bearzot; era il nonno degli italiani, perchè agli italiani aveva regalato una gioia enorme solo quattro anni prima. Era veramente un nonno, Bearzot, e come tale provava un'infinita gratitudine per tanti di quei ragazzi che fattivamente costruirono quel sogno, per primo, fra tutti, Paolo Rossi. Non era un'Italia da sogno, un'Italia che potesse solo vagamente sperare di rivincere il titolo, di ergersi sopra tutte le altre, sopra al Brasile a quota quattro mondiali. Era un'Italia stanca, vecchia nei suoi ruoli fondamentali; un'Italia che lasciava a casa giocatori che forse l'avrebbero resa più forte, che avrebbero potuto dare qualche speranza in più, come gli juventini Tacconi, Mauro, Manfredonia e Serena; come il romanista Pruzzo, splendido capocannoniere della Serie A nella stagione appena conclusasi. Fu un'Italia che già all'esordio contro la modesta Bulgaria manifestò quello che sarebbe stato il suo cammino: un cammino breve che interruppe nettamente la Francia di Le Roi Michel Platini e per me mai ci fu eliminazione meno dolorosa di quella: 2-0, Platini - Stopyra. Fine.
Discorso simile si poteva fare per il Brasile, che a distanza di quattro anni divenne per me non più la squadra da tifare, ma quella ideale da battere, in finale, nello spettacolare, immenso stadio Azteca di Città del Messico. Ma anche i brasiliani, dicevo, non erano più la magnifica macchina da guerra di Spagna '82. Anche loro erano infarciti di vecchi e stanchi campioni, con qualche rincalzo notevole, come il portiere Carlos, il libero Julio Cesar, che ritrovammo quattro anni dopo in maglia bianconera, come l'incredibile terzino sinistro Josimar, tipico Carneade da mondiale, come Alemao, mediano ruvido, ma dai piedi educati, come lo splendido centravanti Careca, quello che mancò ai brasiliani al Sarrià... Poi c'erano i tedeschi: quelli ci sono sempre; i belgi, cresciuti tatticamente e tecnicamente e giunti al loro apice calcistico, i danesi di Elkjaer e Laudrup, i sovietici del colonnello Lobanovsky, gli spagnoli del Buitre Butragueno, i padroni di casa del Messico, che non avevano speranze, ma avevano Hugo Sanchez, centravanti spettacolare che ancora oggi mi riempie i ricordi di giocate favolose e di esultanze altrettanto favolose. E poi, eliminate Italia e Brasile, c'erano la Francia e l'Argentina, le squadre per la finale perfetta: da una parte Platini, l'eroe bianconero per eccellenza, dall'altra Maradona, l'avversario perfetto, l'avversario per eccellenza. Un avversario tanto perfetto, tanto d'eccellenza che in quei mondiali mostrò cose mai viste: un gol da autentico "ladro" e tante, tantissime giocate che sono "il calcio", come quella extra terrena che portò l'Argentina sul 2-0 nel quarto di finale con gli inglesi. Il gol più bello della storia dei mondiali di calcio; forse il gol più bello di sempre, indipendentemente dal fatto che fosse stato realizzato in un mondiale.
Quella finale da sogno, però, non si giocò. perchè, come dicevo, i tedeschi ci sono sempre, nonostante un gioco poco entusiasmante, nonostante una squadra che non aveva il tasso tecnico dei francesi. E come quattro anni prima, con meno polemiche e con meno recriminazioni rispetto a quattro anni prima, di nuovo batterono la Francia in semifinale: 2-0 con papera di Joel Bats, fino ad allora splendido interprete del ruolo, eroe dell'eliminazione del Brasile ai rigori, nei quarti di finale. Un mondiale stupendo, con tante squadre forti, che però si risolveva con una finale monca, nella quale da una parte giocava la squadra che indubbiamente più meritava quella coppa, capitanata dal giocatore che sicuramente più meritava di alzare, da capitano, quella coppa e dall'altra loro, ancora loro, i tedeschi: non l'Italia di Nonno Bearzot, che dopo l'eliminazione contro i francesi se ne andrà mestamente in pensione, non la Francia di Platini, nè il Brasile di Zico, Falcao e Socrates; no: ancora loro e ancora una volta sconfitti, per il secondo anno di fila; agnelli sacrificali del genio latino che quattro anni prima fu interpretato da una squadra intera, ricca di campioni straordinari guidati da un uomo straordinario, mentre sul verde terreno dell'Azteca fu rappresentato essenzialmente da un solo genio: Diego Armando Maradona. Che non segnò in quella partita. Fu marcato, anche bene, direi e soprattutto onestamente, senza ricorrere a brutalità inutili, da Lothar Matthaeus. Non segnò, ma a pochi minuti dalla fine, sul 2-2, un 2-2 rimesso in piedi come solo i tedeschi sanno e possono fare, ad un passo dalla tragedia nazionale per l'Albiceleste, inventò un assist impossibile per tal Burruchaga, una discreta ala destra di cui, dopo, si perderanno letteralmente le tracce.
Un'altra storia stupenda finì così, coi soliti festeggiamenti e col solito pensiero: ci rivedremo fra quattro anni, in Italia e quello non sarà più il mundial, ma Il Mondiale, perchè si giocherà a casa nostra ed allora ci arriveremo preparati, allora vedremo un'altra storia! O forse no...?
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