Ripreso dal Corriere dello Sport di oggi, un ricordo interessante di 40 anni fa. Leggiamolo insieme. Saluti. Cristiano – Ecco il post del bell’articolo-------22 GENNAIO 1967 ---------Il gol fantasma che inaugurò le moviole
La Juventus, nella versione forse più operaia della sua storia, teneva validamente botta all’Inter dei massimi trionfi, tallonandola dappresso, tignosa e tenace, sulle alte vette della classifica. Nell’incipiente 1967 era inserita in cartellone la disputa dell’ultima giornata del girone di andata. I bianconeri confidavano nella rinomata propensione ai pareggi del Mantova, di scena contro i nerazzurri a San Siro, per agguantare, ancorché in sgradito condominio, il titolo, platonico ma suggestivo, di campione d’inverno. Occorreva tuttavia ovviamente, per l’undici di Heriberto, fare prima i doverosi conti con gli avversari di giornata, andando a conquistare bottino pieno sul terreno, non facile, dell’Olimpico biancoceleste. In quel pomeriggio invernale pioveva a dirotto su Roma ed il campo era ridotto a pantano. In tale contesto, Lazio e Juventus non mostravano di dannarsi l’anima, alla caccia disperata dei due punti in palio. Il match si era trascinato avanti, nel primo tempo, in modo sciatto e incolore, senza suscitare entusiasmi né brividi ed insinuando anzi, negli oltre trentamila ombrelli dispiegati per lo stadio, seri e giustificati dubbi circa l’opportunità della propria ulteriore permanenza sugli spalti. La Juve, che aveva colpito un legno in apertura, era poi sta- ta graziata dall’arbitro De Marchi, impossibilitato a notare, in piena area ma a palla lontana, un fallo di ritorsione commesso dal portiere Anzolin sull’avanti laziale Mari. Al 7’ della ripresa avvenne il fattaccio: catapultatosi lesto come un giaguaro, ad un metro dalla porta, su una punizione tesa e rasoterra calciata da Menichelli, il centravanti-panzer bianconero Depaoli insaccava di prepotenza, scagliando una bordata tremenda sotto l’incrocio dei pali di Cei. Il pallone varcava chiaramente la linea bianca, incocciava il ferro di sostegno interno della rete laziale, poi rimbalzava in campo. Il gol era evidente per tutti, tranne che per la giacchetta nera di Pordenone, che si sbracciava nell’invitare le due incredule squadre a proseguire, alacri, nel gioco.
Le sacrosante, accorate proteste juventine non approdarono a nulla. E le polemiche cominciarono da subito, furiose, a divampare, imperversando a lungo, velenose e mefitiche, nell’aria, già poco salubre, del campionato. La Juve, all’epoca fuori dal cono d’ombra rassicurante della famiglia Agnelli, già vittima di diversi, sfavorevoli verdetti arbitrali, temeva di vedere vanificate bruscamente le proprie velleità di scudetto. Il presidente del club Catella paventò così, apertamente, denunciando una serie a suo dire nutrita di inquietanti episodi ad esclusivo vantaggio nerazzurro, l’ipotesi di un ben architettato complotto di matrice interista. Moratti ed Herrera replicarono all’unisono per le rime, rigettando sdegnati al mittente le accuse e raffigurando anzi la propria squadra come vittima, sacrificale e designata, di numerosi, supposti soprusi.
La televisione aveva nel frattempo ripetutamente illustrato la dinamica dell’episodio incriminato, inaugurando di fatto, con la novità dell’introduzione di riprese rallentate delle immagini, una sorta di moviola ante litteram. Il vulcanico Helenio andò, per questo motivo, su tutte le furie: il Mago si scagliò in prima persona, risoluto e fremente, contro la corazzata RAI, accusandola apertamente di mirata e niente affatto imparziale ingerenza mediatica nella lotta per il primato.
La Juve in tuta blu continuò perseverante e tenace, dopo i giustificati mugugni, ad onorare, con copioso sudore operaio, gli impegni di torneo. Distanziata nettamente dall’Inter, non mollò mai e le rinvenne famelica addosso, alla vigilia dell’ultima partita, distaccata di un punto. Sembrava però tutto vano e la memoria bianconera riandò, tormentata e cupa, a quel piovoso pomeriggio romano. Ma a Mantova, il destino la risarcì del maltolto: il Biscione cadde, stremato, sul traguardo e per la Juve fu il tredicesimo titolo, frutto, meraviglioso e meritato, di una immensa, incrollabile fede.
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