Dopo la sentenza penale di primo grado sul caso Gea, il presidente della Juve, Giovanni Cobolli Gigli, ha affermato: "La giustizia sportiva è una cosa, quella penale un'altra. Con altri verdetti miti, si avrà coscienza che i nostri scudetti sono 29". Le considerazioni del primo bianconero sono comprensibili, finanche legittime se rapportate al pronunciamento dei giudici romani che hanno condannato Luciano Moggi per violenza privata, facendo cadere l'accusa di associazione a delinquere. Ma, al tempo stesso, le parole di Cobolli Gigli sono anche intempestive e abbondantemente fuori tempo massimo. Perchè un conto è la giustizia penale e un altro quella sportiva e perchè la Juve, intesa come società, se riteneva sacrosanti quei due scudetti che le sono stati tolti doveva difenderli a muso duro e sino in fondo nell'estate del 2006, quando scoppiò Calciopoli. Anche a costo di entrare in guerra totale con la Federazione, rivolgendosi alla giustizia ordinaria. Anche a costo di fare fuoco e fiamme in ogni sede legale perchè, vivaddio, due scudetti sono due scudetti. O no? Adesso è troppo tardi. Adesso bisogna stare attenti a non confondere la vicenda Gea con Calciopoli, il cui dibattimento si inizierà il 20 gennaio a Napoli: in quella sede, peraltro, l'ex direttore generale bianconero è imputato di associazione a delinquere finalizzata alla frode sportiva. Augurando a Moggi di riuscire a dimostrare la propria innocenza, magari facendo finalmente anche tutti i nomi di quelli che telefonavano a designatori, arbitri, assistenti e associati, al presidente della Juve vorremmo chiedere se un giorno o l'altro sapremo perchè il club più amato dagli italiani, nella rovente estate 2006 si sia arreso al Sistema senza combattere per quei due scudetti conquisttai sul campo da una squadra così forte da non avere bisogno dei magheggi di Moggi. -----------------------di Xavier Jacobelli |