Per chi non avesse voglia di cercare nel web, riporto la testimonianza dei nostri amici aggrediti domenica scorsa.
ROMA - "Ho visto quello che è successo a Badia al Pino, c'ero anche io. Ma non ero a bordo della Mercedes classe A, ero su un'altra macchina. Quale tipo? Mi spiace, non lo dico". A raccontare i concitati minuti che hanno preceduto l'omicidio di Gabriele Sandri, è uno dei tifosi juventini non ancora sentiti dalla procura di Arezzo. Un racconto che conferma l'ipotesi che le vetture coinvolte nella vicenda fossero quattro e non tre. La Megane Scenic su cui viaggiava "Gabbo", la Renault Clio, la Mercedes e la vettura del nostro testimone. Un racconto che dà forza all'ipotesi dell'aggressione compiuta dai tifosi della Lazio contro i "rivali" della Juve. Un racconto fatto di stupore. Di sorpresa. Di incredulità di essere parte di una vicenda così importante. E di paura. "Ma - ci dice il testimone, un giovane professionista incensurato - una premessa è d'obbligo: la condanna dell'omicidio di Gabriele, a cui mi associo. Credo che le armi da fuoco dovrebbero essere usate come estrema ratio. É una cosa che ci tengo a precisare prima di raccontare quello che è successo domenica scorsa".
A che ora siete partiti?
"Intorno alle 7 del mattino da Roma per andare a vedere Parma-Juve: ci capita spesso di seguire la Juventus, ma non siamo ultrà. Siamo ragazzi normali che ogni tanto fanno una gita fuori porta. Verso le 9 ci siamo fermati all'autogrill per fare colazione: eravamo stanchissimi, avevamo bisogno di un caffè".
Avete notato qualcosa di strano durante la sosta alla stazione di servizio?
"Assolutamente nulla: l'autogrill era deserto. Poi, durante la colazione, si è un po' riempito. Ma non ci siamo accorti di niente, eravamo indaffarati a fare colazione e leggere i giornali".
Qualcuno di voi era riconoscibile come tifoso bianconero?
"Uno indossava una felpa della Juve, gli altri erano tutti "in borghese". Ma durante la colazione discutevamo sulla possibile formazione dei bianconeri. Forse quello può aver rivelato al nostra fede calcistica".
Poi cosa è successo?
"Siamo usciti e ci siamo separati: le macchine non erano parcheggiate vicine. La mia stava circa cinquanta metri più indietro. Da lontano ho visto un gruppo di ragazzi, alcuni con il cappuccio in testa, altri con il cappellino, che si avvicinavano ai miei amici. Non ricordo in modo nitido, sono stati attimi concitati. Non saprei riconoscere i volti degli aggressori, né indicare quali "armi" tenessero in mano. Credo fossero ombrelli, aste di bandiera e cinture. Si sono buttati sulla Classe A. Alcuni dei miei amici erano già seduti in macchina, altri sono riusciti a ripararsi in fretta. I laziali si sono avventati sull'auto. A quel punto, per cercare di distoglierli, sono passato a tutta velocità accanto alla Mercedes e li ho messi in fuga".
Solo allora siete scappati.
"A tutta velocità: abbiamo proseguito fino a Parma senza fermarci. Senza avere idea di quello che avevamo lasciato alle nostre spalle".
Non avete sentito gli spari?
"Sono stati attimi di terrore, pensavamo solo a scappare. Tanto che, prima di chiamare un numero di emergenza, non ricordo nemmeno se il 112 o il 113, sono passati 10 minuti. Probabilmente l'omicidio era già avvenuto".
Ma voi ancora non lo sapevate?
"Lo abbiamo sentito per radio verso l'una, eravamo già a Parma. Ma che fossimo coinvolti in quello che era successo lo abbiamo capito solo il giorno dopo".
E avete parlato con la magistratura?
"Noi non siamo stati contattati, ma parleremo nel momento in cui la magistratura ci dovesse chiamare. Tuttavia credo che non potremmo aggiungere nulla di nuovo rispetto alla ricostruzione dei fatti che già è stata fatta".
(17 novembre 2007)
|