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Il Punto
Il ciclo di Boniperti durò diciannove anni (1971-1990). L’era della Triade ha resistito dal 1994 al 2006. Nel primo caso, il trapasso fu doloroso (dimissioni da carenza di risultati e di coccole) ma fisiologico. Nel secondo, è stato traumatico: Calciopoli. Il tifoso juventino si guarda attorno, disorientato. Vede l’Inter della famiglia Moratti che sventola Ibrahimovic e Vieira, il Milan incollato alla sua storia al punto che l’allenatore dovrà essere sempre uno di casa: se non Ancelotti, Tassotti o Van Basten. In compenso, che Juventus sta nascendo? C’era Bettega, l’ultimo dei Mohicani: si occupava di mercato, il contratto scade il 30 giugno e non gli sarà rinnovato. C’era Deschamps: se n’è andato prima che lo mandassero via. C’era Tardelli, inviso allo zoccolo duro ma pur sempre un pezzo di Juve, e che pezzo: l’avevano reclutato come consigliere, ha tolto il disturbo anche lui. I Ferrara e i Pessotto non hanno ancora la statura dei simboli. L’unica bandiera a disposizione resta, così, Del Piero: che però gioca e, soprattutto, vuole giocare.
I Blanc, i Cobolli Gigli e i Secco sono troppo esterni o troppo nuovi per essere percepiti come energici rifondatori. Pochi ricordano la diffidenza con la quale furono accolti Moggi e Giraudo, le cui radici granata sembravano costituire, allora, una sorta di lettera scarlatta. I risultati hanno colmato e addolcito i vuoti di memoria. Il vittimismo e il livore prodotti dallo scandalo hanno completato l’opera. Il tifoso ha fretta. Non uno che rammenti i nove anni, diconsi nove, trascorsi dall’ultimo scudetto di Boniperti (1986) al primo della Triade (1995). Per questo, avrebbe voluto rifugiarsi almeno in Lippi. E sempre per questo, ha celebrato la conferma di Buffon come la conquista di una coppa. Ranieri viene considerato un signore, sì, ma di una «nazionalità» diversa. A proposito: i tre allenatori cambiati dal maggio 2006 a oggi - Capello, Deschamps, Ranieri [u]- hanno contribuito ad accentuare lo smarrimento.
Anche la Triade aveva rotto con la tradizione. E in maniera tutt’altro che morbida. I successori, che proprio esperti del ramo non sono, ne hanno ereditato il miele e il fiele. La piazza misura il futuro attraverso la bacheca del passato, fregandosene di quello che è venuto a galla. Gli juventini sono prigionieri del loro orgoglio ferito. Non si fidano, eccedono nei paragoni, si voltano indietro.
Viceversa, è avanti che bisogna guardare. L’attacco andrebbe già bene così, con Iaquinta che assomiglia tanto a Ravanelli: a patto che Trezeguet non scappi. Più che in difesa, è a centrocampo che la distanza da Milano e Roma rimane abissale. Almiron e Tiago non sono male, ma coprono poco. Lasciamolo lavorare, Ranieri. Quanto ai vertici, oltre che delle voci vorrei sentire un’anima. Juventini si può anche diventare |