http://www.corriere.it/Primo_Piano/Cronache/2007/02_Febbraio/11/ravelli-santucci.shtml. Ecco tutto l'articolo, ci sarebbero delle riflessioni da fare...
«Gli ultrà tirano in campo tre bombe carta e due fumogeni. La società sborsa 30-40 mila euro di multa. È ovvio che il lunedì vada a trattare: "Quanto spendete per una trasferta, 5mila euro?". L'accordo si trova subito: la domenica successiva i tifosi viaggiano gratis, la società risparmia 25 mila euro». È il racconto di un investigatore. Anche a Torino, ha sempre funzionato così. Rapporti con i club al limite del lecito, reciproca convenienza, accordi più o meno espliciti. Intrecci del passato che, in gran parte, resistono ai cambiamenti di dirigenza di Juve e Toro. Ingressi allo stadio «in appalto» ai capi delle curve. Steward ex ultrà che dovrebbero controllare la disciplina dei loro vecchi compagni. E poi la spartizione di soldi e potere. Che ha scatenato una guerra fratricida tutta interna al tifo bianconero.
Il controllo del territorio
Il business della curva ruota intorno ai biglietti. Nell'economia da stadio funzionano come assegni da portare all'incasso ogni domenica, prima delle partite. «Con la Triade erano una grande risorsa», rivela un'investigatore che da anni lavora a contatto con gli ultrà bianconeri. Quanti biglietti passavano? «Tra scontati e in omaggio, sui 150-200 a partita per ognuno dei 4-5 gruppi». I tagliandi venivano rivenduti in un giro di bagarinaggio interno. «Qualcuno si è sistemato comprando un bar, altri girano in Mercedes. I leader più tosti possono mettersi in tasca anche 100 mila euro in un anno». Altro capitolo, gli abbonamenti. Sistema di guadagni moltiplicati. Funzionava così: un gruppo riceve un pacchetto di tessere dalla società, pagandole in forma dilazionata. Ma ogni domenica offre l'ingresso alla massa degli altri ultrà: ogni tessera, ripassata ogni volta all'esterno, permette l'ingresso di tre-quattro persone. Senza tornelli per il controllo elettronico era un giochetto facile facile. Oggi è diverso, ma non tanto. «Il problema resta sempre la pressione violenta», spiega un funzionario che si occupa di ordine pubblico al Comunale di Torino. Conseguenza: lo steward che si trova al cancello chiude un occhio, «per paura, per connivenza, o perché proviene dallo stesso ambiente della curva». Il funzionario ammette: «Alcuni ingressi sono praticamente gestiti dagli ultrà, e da lì passa di tutto». È questo uno dei punti su cui insiste la polizia. Nicola Rossiello, segretario provinciale Silp-Cgil di Torino: «Vanno monitorate le dinamiche che nascono attorno alle partite, vogliamo che emergano eventuali connivenze. E che le cose cambino veramente».
Pizzo e pressioni
Sia Juve che Toro hanno di recente cambiato la dirigenza e gli equilibri si devono riassestare. Ma le pressioni continuano. L'esempio di un investigatore: «Prima di andare a negoziare i biglietti alla Juve, due gruppi di ultrà si sono affrontati con coltelli e bastoni. Secondo lei, chi deve dare i biglietti resta condizionato o no?». Nessuna società cede con piacere biglietti gratuiti. «È una specie di pizzo». E alla fine la convenienza c'è per tutti. Moggi e Giraudo, poi, negli affari sono sempre stati esperti. «Sapevano trattare, anche con i tifosi — racconta un conoscitore della realtà Juve —, a volte alzavano la voce: "Vi tagliamo tutto", poi si mettevano d'accordo». A volte davano una mano. Estate 2003: in un'amichevole a Catania, i Fighters (allora gruppo dominante) si fanno rubare lo striscione dai siciliani. A pagare il riscatto si dice sia stato Moggi. «Per anni la curva è stata uno strumento di politica aziendale». Esempio: striscioni «pilotati» contro giornalisti sgraditi. E un ruolo spesso decisivo nell'orientare le scelte. Dal licenziamento del super contestato Carlo Ancelotti (giugno 2001) alla guerriglia organizzata dagli ultrà del Toro (estate 2005) per impedire a Luca Giovannone di diventare presidente. «I tifosi dubitavano che avesse i soldi. Poi si era diffusa la voce che fosse fascista, mentre gli Ultras hanno simpatie opposte», spiega un frequentatore della Maratona. Con la dirigenza di Cairo, invece, i rapporti sono ottimi. Nessuna guerra fratricida per gli ultrà granata: il nemico è la polizia. Slogan del momento: «Né con i catanesi, né con i poliziotti».
Volti nuovi
Sponda bianconera. Il nuovo capo ultrà si chiama Fabio Germani: è il volto pulito della curva, quello che va in tv. Quello con cui tratta la società. «Si è aperto un dialogo. È garantito: quest'anno non facciamo nessun casino, manteniamo l'ordine, per quanto possibile». L'inizio non è stato così pacifico: «Li abbiamo contestati, non conoscevamo i progetti». Fabio si definisce «il referente della Curva Scirea». Ma gli Arditi, che della Scirea fanno parte, scrivono sul loro sito che «non può parlare per loro». E gli investigatori raccontano che il vero capo è sempre quel Dino Mocciola, storico leader dei Drughi, in carcere 15 anni per rapina, che non può andare allo stadio e «comanda senza esserci». Ma il mondo che racconta Fabio non c'entra niente con quello degli investigatori. Il giro d'affari? «Non c'è nessun guadagno: i biglietti li pago, e in contanti». Le entrate controllate dai tifosi? «Ogni settimana cambia quello che ci fa entrare, proprio per evitare coinvolgimenti con noi». Collusioni con la delinquenza? «Io e i miei amici abbiamo un lavoro onesto. E facciamo tante cose belle: portiamo a tifare i bambini malati, per esempio». Fabio è uno di famiglia, in società: martedì c'è una cena con Lapo Elkann, qualche giocatore, gente bene di Torino, giornalisti. Lui è stato invitato. Normale?
Mariella Scirea pensa di sì: «È giusto individuare referenti della curva e responsabilizzarli. Certo, devono rifiutare la violenza». Al rinnovo dei vertici societari, sembra essersi accompagnato un rinnovo dei vertici del tifo. Quello che non è cambiato è il trait d'union:
chi tiene i rapporti con le curve è ancora un uomo della vecchia gestione, legato a doppio filo a Giraudo. Facile presumere che qualche continuità sia rimasta. «Ma i nuovi dirigenti mi sembrano orientati a un sano dilettantismo — è il giudizio di un investigatore —, il che è positivo: non conoscono gli ultrà e sono più portati a vedere la polizia come referente».
La faida
Il legame a doppio filo Juventus-ultrà, durato anni, è stato scompaginato da Moggiopoli. Unica certezza: la posta in gioco è alta, se i gruppi se la contendono con i coltelli e le pistole.
Sulla faida nella curva bianconera indaga da mesi la Digos di Torino. La storia inizia un anno e mezzo fa. Mocciola, il capo dei Drughi, esce dal carcere. È un intoccabile della curva. La voce dello stadio (vedi striscioni «La triade non si tocca») vuole i Drughi vicini alla vecchia dirigenza Juve. Mocciola esce dal carcere e torna a riprendersi il suo posto in curva, mentre la lotta con i Fighters (ora Tradizione) e i Viking di Milano è già aperta. In gioco gli equilibri in curva e i rapporti con la società. Lotta fratricida, sottotraccia. Per ricostruirla bisogna mettere in ordine una serie di esplosioni di violenza. Tre Drughi arrestati per aver accoltellato un Fighters nell'aprile 2005. Quasi un anno dopo, altro colpo ai Fighters: due spari contro il loro bar-ritrovo, il Black White. A luglio 2006 Mocciola viene sfregiato con un coltello ad Alessandria, durante un'amichevole. Solo a pensarla, qualche anno fa, una cosa del genere avrebbe messo i brividi all'intera curva. Settembre scorso: trenta persone devastano il ritrovo dei Fighters. E quando la prima giornata di campionato è già passata, un centinaio di ultrà delle opposte fazioni si scontra con mazze da baseball, bottiglie e bastoni fuori dal Delle Alpi. Qualcuno lo chiama «effetto collaterale», dopo il crollo della Triade.
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