Il caso
la Suggestione al Posto dei Fatti
Telecom e giustizia
N elle Considerazioni sulla formazione originaria delle lingue ---
che ci sono pervenute solo grazie agli appunti dei suoi studenti ---
Adam Smith distingueva già nel Settecento tre tecniche diverse di
comunicazione. I «discorsi narrativi», che esigono obbiettività; le
«argomentazioni didattiche», che spiegano causa e effetto; le
«esposizioni oratorie», che vogliono suscitare emozioni. Queste
ultime sono la tecnica di comunicazione giornalistica tanto diffusa,
da noi, da essere diventata oggetto di giurisprudenza. CONTINUA A
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SEGUE DALLA PRIMA
I fatti. Il primo agosto 2005, in una dichiarazione al Corriere
della Sera --- che si limita a riprenderla letteralmente --- il
senatore Luigi Grillo dice: «Ho appreso dalla stampa che esiste a
Milano un centro che si avvale di un'apparecchiatura per le
intercettazioni messa a punto da Telecom Italia». Il presidente di
Telecom, Marco Tronchetti Provera, querela il senatore in quanto ---
pur attribuendo alla stampa la fonte della notizia --- «reitera
l'informazione difforme al vero, approfondendone il contenuto
lesivo». Ma il Procuratore della Repubblica, Fabio Napoleone, chiede
al giudice per le indagini preliminari di «disporre l'archiviazione
del procedimento», perché:
«La notizia dell'esistenza di una centrale, interna a Telecom
Italia, dedita a intercettare illegalmente numerosissime persone
particolarmente impegnate nei settori politici, finanziari e
sociali, pur non sorretta da accertamenti giudiziari, risulta essere
stata diffusa dai media in modo così capillare e reiterato da
generare in tutta l'opinione pubblica il convincimento della sua
veridicità al punto da coinvolgere in simile suggestione collettiva
anche molti settori delle istituzioni».
A scanso di maliziose interpretazioni, premetto che Marco Tronchetti
Provera è uno degli editori del Corriere della Sera e anche un mio
amico. Aggiungo, inoltre, che la mia regola professionale è di
attenermi sempre, in queste circostanze --- ne siano o meno
coinvolte persone di mia conoscenza --- al proverbio inglese secondo
il quale «i gentiluomini parlano di princìpi; la servitù delle
persone». Questo, dunque, è un commento sui «princìpi», non sulle
«persone».
A me pare che la motivazione del Procuratore della Repubblica possa
provocare molte conseguenze, non tanto perché assolve il senatore
Grillo --- il quale, probabilmente, aveva parlato in buona fede ---
quanto perché crea un precedente. Essa, infatti, non può che
registrare il principio che --- se la diffondono tutti --- non è il
fatto che crea la notizia, ma è la notizia che crea il fatto, anche
se il fatto di cui si parla non è vero. Qualcosa del genere era già
accaduto ai tempi del processo e della relativa condanna della
Juventus. Chi lo aveva promosso aveva detto testualmente che «la
sentenza rispondeva a un diffuso sentimento popolare». Come dire che
i processi, da noi, non si fanno nelle aule di tribunale, ma sui
giornali e al Bar Sport.
Sull'argomento, garantisti e giustizialisti, innocentisti e
colpevolisti «a prescindere», si sono divisi. Personalmente, più che
un problema di civiltà del diritto, a me pare sia una questione di
civiltà tout court , e riguardi un certo modo di fare questo nostro
mestiere. Ciò che Adam Smith chiama «esposizioni oratorie» per
suscitare emozioni o, peggio, aggiungo io, per scandalismo. Insomma,
un giornalismo che rischia di non essere più giornalismo, ma di
diventare killeraggio.
E se, allora, noi tutti, giornalisti, cronisti, redattori
giudiziari, direttori, editori, ci dessimo una regolata e ci
ricordassimo almeno la norma, non dico deontologica, ma di marketing
che un consumatore lo puoi fregare una volta, ma non puoi fregare
tutti i consumatori tutte le volte? In definitiva, che si vendono
più copie raccontando come stanno le cose piuttosto che balle?
postellino@corriere.it
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