RETICENZE E SILENZI
GIANCARLO PADOVAN
Credere alla verità, apparentemente leggendaria, della vasta moltitudine rappresentata dai piccoli azionisti, o dar ascolto ai manager di una società che, alla pressante domanda sulla Juve in vendita, rispondono con un laconico «Non ne sappiamo nulla»?
Non è accademico, e meno che mai amletico, l’interrogativo che echeggia alla fine dell’assemblea degli azionisti. Piuttosto è la conseguenza di un modo di comunicare il presente, il possibile, l’impensabile, l’imminente che lascia perplessi. Non una novità in un club che, al rinnovamento sostanziale, non sta facendo seguire quella linea di persuasione tanto attesa dai tifosi – il grande popolo juventino – e non solo da essi.
Giovanni Cobolli Gigli, presidente che tiene molto a non apparire né mite, né timido, ieri avrebbe dovuto essere più netto e deciso, almeno agli occhi e alle orecchie di chi scrive. Se l’ha evitato, di fatto contemplando l’eventualità di una cessione, è perché era giusto affidarsi alla seguente nebulosa perifrasi: «Noi abbiamo un rapporto molto proficuo con l’azionista di riferimento e tutto il Consiglio di amministrazione lavora con decisioni oculate affinché la società, quotata in Borsa, sia forte e indipendente».
Certo come sono di non avere saltato neppure una sillaba di quanto scandito da Cobolli nell’assise assembleare, mi piacerebbe vederci più chiaro. Non è detto che un padrone diverso dagli Elkann sia necessariamente un male. Ma una mezza dichiarazione come quella di Cobolli lascia scoperto un fianco, non solo un nervo. In pratica ci si domanda: c’è stata, c’è, mai ci sarà l’idea di aprire una trattativa per cedere la Juve?
Già il solo fatto di non averlo escluso in maniera categorica, a mio parere indica un sintomo. E non so davvero quanto la proprietà possa ancora nascondersi dietro i pudichi paraventi alzati da Cobolli. So di certo, invece, che anche un grammo di incertezza può intorpidire le energie di un gruppo di lavoro e alterare gli equilibri di una squadra. Se, infatti, il calcio è un’impresa, esso conserva comunque i requisiti anomali e specialissimi che ogni altra attività produttiva rifugge.
Per dirigere una società di calcio è necessario sapere di calcio. E trascurare gli inviti dei piccoli azionisti a virare sul mercato in modo più convincente di come fatto fino ad oggi sarebbe un grossolano errore. Non è giusto, e nemmeno onesto, scaricare le responsabilità sulle spalle di Alessio Secco. E’ stato certamente un errore privarsi di Roberto Bettega. Però sta diventando paradossale chiedere conto a giocatori, frettolosamente ipervalutati e iperpagati, di essere all’altezza del loro costo. Che cosa c’entra Tiago se la Juve l’ha pagato oltre tredici milioni di euro? Cosa c’entra Andrade se l’hanno pagato dieci e poi si è rotto? Quale obiettivo pretendere da Ranieri se si ritiene di non sostituire il centrale difensivo con un altro elemento di qualità? Non vi sembrino domande retoriche. E’ perché alla Juve c’è davvero qualcuno che, dopo aver commesso errori grossolani, pensa di poter risparmiare, anziché contribuire a spendere per porvi rimedio. A meno che non esista una connessione tra la voglia di vendere il club e la poca voglia di comprare giocatori.
|