Vi allego l'articolo di Carlo Tecce
Caso Juventus: il peggio non è passato, ma è tutto da affrontare. Mentre la dirigenza si fa fotografare in pompa magna, non c’è alcun importante investimento per il futuro.
Se all’ordinazione non corrisponde la portata, pazienza: ti alzi e te ne vai. Se un cliente alla Gigi Buffon suggerisce investimenti e la Juventus, quella buona e fresca, risponde con Falcone, Gamberini e Grygera: la preoccupazione è nel menù fisso. Non ci sono più le risorse culinarie di una volta, il mago del retrobottega, Luciano Moggi, è stato costretto a ripiegare sulle boiate televisive. Non si sono più le strategie di una volta, il mago degli immobiliari, Antonio Giraudo, è espatriato a Londra. Le chiese saranno felici: i peccaminosi sono dietro la staccionata, i giusti sono al potere.
Le mura crollate di Calciopoli hanno provocato un polverone, nel vero senso della parola: aria malsana e profondo senso di confusione. Moggi sfruttava il dono della plusvalenza, e Felice Piccolo è un dolce amo legato al passato. Giraudo vendeva e ricomprava la sede di corso Ferraris, e il bilancio in rosso piange la sua perdita. La nuova Juventus riprende il discorso genealogico della “gioventù”: Deschamps per Capello, Secco per Moggi, Lapo e John per Grande Stevens. E i risultati si notato. I bigotti garantiscono: “che vi frega, tanto ora siete simpatici”. Ma andate a vendere barbabietole al mercato del pesce.
Mentre la Juve espia le sue colpe in serie B, quei poveracci dell’Inter stravincono un campionato fasullo e mortificante per chi ha disputato i precedenti. Ma all’Inter, bontà loro, sono così idioti da far lievitare il caso “Mancini-contratto” durante le operazioni di decollo. Peccato, avrebbero potuto prendere quota e poi cadere meglio. Le intercettazioni su Moggi e compari, avviate dal 2002, sono state “concesse” alla Magistratura da Tronchetti Provera in persona. Discorsi del cacchio. L’opinione pubblica ormai – esclusa la parte bianconera – ha incarnato il pensiero altrui, ha creduto a chi giurava e spergiurava di aver capito la faccenda, benché un Tribunale Amministrativo della Repubblica sia ancora disposto a osteggiare lo scudetto a tavolino dei Moratti.
I fedeli si aggrappano al tempo riparatore e alla provvidenza. E qualcuno, sceso dal pulpito, si appresta a glorificare la rinascita della Juventus. Il peggio, invece, è davanti. E non dietro.
La Tamoil ha rescisso un lauto contratto di sponsorizzazione e non c’è la ressa per legare il proprio marchio alla maglia bianconera. E nemmeno la Fiat, che non investe nella Juve da Platini, è così entusiasta di porsi in vetrina. E se Bettega è in missione ad Amsterdam per convincere l’Ajax a fare uno sconto di 400mila euro su Grygera, la Juve è davvero allo sbando. Le oscillazioni, però, sono (dovrebbero) essere attutite dall’immagine della Juve dei fratelli italo-americani: John e Lapo. Il primo se ne frega, il secondo, indaffarato nel suo non fare niente, cerca il suo rilancio personale attraverso i riflettori della Juve. Le parole, non mancano mai. I soldi da spendere, non esistono. Ripetiamo un concetto: per l’uomo simbolo, la Juve potrebbe scegliere tra uno dei suoi 12 milioni di tifosi, ma per un dirigente, la Juve dovrebbe guardare altrove. Nessuno impedisce a Lapo di avere la sua seconda occasione, ma l’uscita dall’errore non può somigliare ad una consacrazione. Della gente comune chi se ne cura, la misericordia del Signore? E la linea di occhiali da 1700euro cadauno, invero, non sono un biglietto da visita per la tua umanità, caro Lapo.
Una proprietà così, vicina agli interessi dei tifosi, così prodiga di consigli e di proclami, così ligia al dovere artistico (bandierine e striscioni), serve soltanto all’immagine e a consegnare il prossimo lustro di successi alle milanesi. Chi tifa Juve e la pensa in questa sadica (?) maniera, spera di sbagliare profezia. Bene. Tanto chi sbaglia non paga, ma viene pagato.
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