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Farsopoli di F. FILIPPIN del 28/03/2014 09:25:11
Motivazioni calciopoli. Le ‘riunioni conviviali’

 

Tra le motivazioni che hanno portato la Corte di Appello di Napoli a confermare la condanna di Luciano Moggi, ampio risalto viene dato alle cosiddette “riunioni conviviali”, ovvero agli incontri tra lo stesso Luciano Moggi, Antonio Giraudo e alcuni tra quelli che vengono considerati ”membri posti al vertice dell'associazione”, Bergamo, Pairetto e Mazzini, in primis, i cosiddetti “sodali”.
Anche in questo punto della sentenza, da una semplice analisi, emerge tutta la fragilità della ricostruzione dell'accusa prima e della Corte di Appello poi, che l'ha fatta propria.

La Corte ha, infatti, escluso la natura “conviviale” di detti incontri con una assurda motivazione, attribuendo al fatto, di contro, valore di prova di commissione del reato e dell'associazione. Si legge nella sentenza a pagina 119 che “Ulteriore elemento probatorio fondante la sussistenza dell'esistenza del sodalizio sono le cd. "riunioni conviviali" presso le abitazioni per lo più del Giraudo, Pairetto, dello stesso Moggi ed anche del Mazzini.
Tali riunioni, escludendo come già indicato innanzi la mera natura conviviale delle stesse, peraltro unica motivazione addotte dalla Difese al fine di vanificarne il valore probatorio (sul punto si fa notare che, seppur avessero avuto un tono conviviale, lo stesso non appare in contrasto con l'ulteriore contenuto ovvero la predisposizione ai vertici del sodalizio di attività illecite), appaiono rilevanti sotto un duplice profilo: in primis esse avvengono per lo più in prossimità di sorteggi e dunque delle formazioni delle griglie ed in secundis, vi prendono parte i membri posti al vertice dell'associazione e ciò ne indica indiscutibilmente la loro rilevanza”.


Analizziamo nello specifico le motivazioni. La prima è assurda e nulla dice: è evidente che nel corso di un campionato di sorteggi ce ne sono a decine, prima di ogni partita. Basta guardare il calendario attuale (nel 2005 la situazione era analoga) per capire che qualsiasi data può essere considerata “a ridosso di un sorteggio”. Questo, però, non significa certo che l'incontro sia preordinato a discutere (e, come si cerca di far capire), ad interagire per alterarlo.
La seconda, poi, sfiora il grottesco. Dire che una riunione non è “conviviale”, ma finalizzata ad organizzare e a commettere un reato, in quanto vi fanno parte le persone che in quell'occasione intendono commettere il reato è inaccettabile, perché si parte dal presupposto, indimostrato, che una associazione vi sia e che vi siano, quindi, reati da commettere.
Quella adottata nella motivazione è una facile scorciatoia, cercando di giustificare a posteriori, in senso favorevole alla condanna, ogni comportamento ed ogni frase, dando loro connotazioni negative che non è detto che abbiano (o che non hanno per nulla).

Sappiamo bene di come siano state condotte le indagini, e di come alcune persone siano state oggetto di intercettazioni e come altre, di contro, siano state volutamente ed inspiegabilmente (?) ignorate e di come le stesse telefonate siano state “scremate” ad arte, scegliendo quelle di “comodo”, che potevano tornare utile alla ricostruzione dell'accusa, omettendone altre “scomode”, in un'ottica ben lontana da quella di far emergere la verità e non la propria idea dei fatti.
Anche qui la logica è la stessa: si cerca di far apparire il rapporto di Moggi con Bergamo e Pairetto come esclusivo e deviato, senza neppure porsi il problema se Bergamo e Pairetto avevano rapporti anche con gli altri dirigenti calcistici.
Ci ricordiamo tutti ancora il famoso “piaccia o non piaccia” con cui un PM, nel corso del giudizio di primo grado, in maniera del tutto sprezzante, faceva intendere che quello che faceva Moggi (nello specifico parlare al telefono con i designatori) era una sua prerogativa non comune ai dirigenti dell'Inter, salvo poi venire platealmente smentito dalla puntuale ricostruzione operata (questa sì con olio di gomito, viste le difficoltà e gli ostacoli incontrati) dalla difesa (ricordiamo sempre, “a spese proprie”, per colmare le lacune delle indagini “a spese dei contribuenti”).

Qualcuno potrà sostenere che il fatto che i designatori avessero rapporti conviviali, al telefono o di persona, con i vari esponenti del calcio italiano non sia una scusante e non possa essere usato come difesa.

Qui, però, non si invoca il principio (giuridicamente inesistente) del “lo facevano tutti quindi non sono punibile”: semplicemente si parte dal fatto che avere rapporti con i designatori di per sé non era reato né sintomo di reato.
Una o più cene tra persone dello stesso ambiente (stiamo sempre parlando di calcio) di per sé non significano nulla: non è la cena a fare il reato, ma eventualmente quello che in dette cene viene stabilito, che non è stato in alcun modo accertato.
La valenza negativa assoluta di questi comportamenti è stata, infatti, data aprioristicamente dalla Corte, senza però che la stessa sia stata suffragata da elementi oggettivi certi.
E poi, se il senso delle cene fosse stato quello ipotizzato dalla Corte, che senso avrebbe avuto organizzare così tanti incontri per stabilire sempre la stessa cosa e per inserire nelle griglie sempre gli stessi pochi arbitri? Ci sarebbe davvero stato bisogno di incontrarsi prima di ogni partita?

Rimane poi il dubbio non spiegato dalla Corte (né prima di questa dal Tribunale di Napoli) su come potesse reggersi e avere una qualche rilevanza una associazione di cui non facessero parte tutti o buona parte degli arbitri,ma solo una esigua minoranza di questi (per non dire "quattro gatti", vista le progressive esclusioni nel corso dei giudizi..): la grande testa aveva, evidentemente, un corpo piccolissimo, a riprova del fatto che tutta questa capacità organizzativa non c'era.

La successiva descrizione del ruolo di Luciano Moggi, quale “promotore” dell'associazione (definita “figura apicale”) trova, poi, motivazioni difficilmente sostenibili. A pagina 122 si legge che “non solo ha ideato di fatto lo stesso sodalizio ma ha anche creato i presupposti per far sì di avere una influenza davvero abnorme in ambito federale”.
A riprova di ciò viene indicato il fatto di “riuscire ad imporre proprie decisioni, proprie valutazioni su persone e situazioni (come nel caso delle trasmissioni televisive soprattutto valutative sulla condotta dei singoli arbitri)”.
Il riferimento, evidente, è la Processo del Lunedì (o di Biscardi che dir si voglia): pensare che un programma del genere possa essere inserito nelle motivazioni di una sentenza penale di condanna ci fa venire un brivido lungo la schiena. Evidentemente qui la Corte non conosce bene quello di cui si sta parlando e sarebbe stato opportuno che visionasse una puntata a caso del programma, anche attuale, per capire il livello dello stesso e il “peso” specifico che una trasmissione del genere può avere. Pensare che questa possa essere uno strumento di chissà quale controllo sul mondo arbitrale significa avere una percezione di questa specifica realtà non consona.

Ma vi è di più. Oltre a questo vi sarebbe il famoso (o meglio famigerato) dopo partita Reggina – Juventus. Il virtuosismo nel citare l'episodio è meritorio: “Gianluca Paparesta seppur ha negato in dibattimento di avere percepito di essere stato rinchiuso all'interno dello spogliatoio”: formula elegante per ribadire che il fatto, come ormai noto, non è mai avvenuto, se non nella mente di chi ancora ci crede. Peccato, però, che venga ancora citata la telefonata di Moggi in cui si “vanta di averlo rinchiuso”, come se da queste parole, chiaramente esagerate, si potesse ricavare chissà cosa.

L'”aggressività” di Moggi, anche con riferimento al diverso episodio di un Parma – Juventus sarebbe, però, sintomo del potere di Moggi sugli arbitri. Peccato che non ci viene spiegato come mai Paparesta, che non avrebbe denunciato l'incursione di Moggi per “conseguenza diretta del suo timore” di ripercussioni (pag. 123), abbia, invece, arbitrato la partita, scevro da ogni preoccupazione per il suo futuro, in maniera evidentemente svantaggiosa per la Juventus (che a detta di tutti, fu enormemente danneggiata dalla pessima direzione arbitrale).

Anche il seguito della sentenza è molto labile. Degno di nota, infatti, il richiamo alla figura di Marco Cellino, Presidente del Cagliari (che ci risultava si chiamasse Massimo, ma forse siamo superficiali). La sua deposizione è considerata “non sbilanciata” da inimicizia con Moggi e, quindi, teste attendibile. Quello stesso Massimo (o Marco, a piacimento), a cui in questi giorni la Football League inglese (che ha il potere di inibire l'acquisto di società britanniche a persone di non specchiata moralità), ha precluso la possibilità di acquistare il Leeds, in quanto “ci sono buone possibilità di credere che la stessa persona sia una figura disonesta”.
Ci manca solo che qualcuno sostenga ora che Moggi, considerata la sua “peculiare capacità di avere una molteplicità di rapporti”, abbia anche qualche aggancio oltre Manica...

Giuridicamente inaccettabile, poi, il riferimento alla deposizione di Pierluigi Collina, che tutto si può dire tranne che sia un “amico della Juventus”. Per la difesa la sentenza ha “sottovalutato la sua deposizione sulla regolarità delle partite e sul fatto che il De Santis avesse arbitrato partite in cui la Juventus aveva comunque perso”. La Corte, qui, si supera affermando che “la deposizione non ha di fatto riferito elementi essenziali tali da escludere una responsabilità del Moggi”: ci risultava che gli oneri probatori fossero diversi e cioè che, per arrivare ad una condanna, il giudizio dovesse dimostrare la responsabilità dell'imputato, e non, viceversa che, per evitarla, bisognasse escludere la responsabilità.
Responsabilità, lo ribadiamo, che non risulta da prove concrete ma solo da congetture e ricostruzioni parziali della realtà dei fatti.


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