GIOVANNI CERRUTI
ROMA
Un altro, uno che non è abituato, avrebbe preso il telefono e cominciato il giro: «Avete visto? Mi hanno prosciolto...». Lui no, lui che conosce bene il suo mondo manda avanti la cortese segretaria che risponde dall’ufficio di Roma. «Non ho niente da commentare». O l’avvocato Giuseppe Saccone, che ha sbrigato quest’ultima pratica: «Da questo momento il dottore non ha altre pendenze». E così Franco Carraro consolida il suo primato, un Presidente per tutte le assoluzioni. O i proscioglimenti, come è accaduto ieri a Napoli, non è nemmeno il caso di mandarlo a processo con Moggi, o Lotito, o i fratelli Della Valle.
Se l’aspettava, però. Un bravo avvocato sa cogliere i segnali positivi, e Carraro da qualche giorno sapeva che c’era solo da aspettare. «Mi ritengo una persona onesta - si era sfogato in una delle sue rarissime interviste, il 14 maggio di due anni fa su Rai3, da Lucia Annunziata - e i fatti lo dimostreranno». Fatto. Ancora una volta può uscire senza macchia. E se proprio ne è rimasta una verrà tempo pure per quella. E’ la vecchia condanna del processo sportivo Calciopoli, quello che ha mandato la Juve in serie B. Quattro anni e sei mesi la prima sentenza, appena 80 mila euro di ammenda in appello. E un ricorso al Tar è ancora lì che aspetta.
Non cambia niente questo proscioglimento, per Carraro. Continuerà come ha promesso, lontano dal calcio, unica carica quella nell’esecutivo Uefa che scade l’anno prossimo, quando compirà i suoi 70 anni. Non ha festeggiato, era fuori Roma, e come sempre sarà andato a letto alle 23, abitudine incrollabile. E questa mattina si sarà letto con cura i giornali, per scovare amici e nemici, questi ultimi soprattutto, che sull’enciclopedia internettiana «Wikipedia» hanno scalato la sua biografia con la frase del giornalista Franco Rossi: «In tutto il mondo, dopo Castro, Carraro è la persona che da più tempo sta al potere».
E almeno su questo Carraro deve incassare. Presidente da quand’era ragazzo e il Milan di suo padre vinceva la Coppa dei Campioni, erano i formidabili Anni Sessanta. Della Lega Calcio. Della Federcalcio. Del Coni. E in quegli anni guai a parlar meno che bene di Carraro, e se lo meritava pure. Poi, Anni Ottanta, l’incontro con Bettino Craxi, i socialisti e la politica. Per tre volte ministro. E finiti gli anni del «Caf», Craxi-Andreotti-Forlani, per tre volte sindaco di Roma. Anni di Tangentopoli e avvisi di garanzia facili. Se li prende anche lui, ma come andrà a finire? O assolto o prosciolto.
Per i Mondiali di calcio di Italia ’90 o per l’Impregilo costruzioni, il Consorzio Venezia Nuova o infine quella di Mediocredito. Non c’è presidenza dove Carraro non possa andare o non sia andato. Ma non c’è presidenza che non l’abbia glorificato come quella della Federcalcio. Quando si è dimesso per l’inchiesta Calciopoli dev’esser stato uno dei giorni peggiori della sua lunga vita da presidente. Ha mantenuto un suo stile, però. E ha finalmente ammesso in tv: «Il fatto di non aver capito cosa stava accadendo nel calcio è stato un errore grave di politica sportiva per il quale sono stato giustamente punito».
Ma i maneggi no, per carità. Le partite truccate, gli intrallazzi con gli arbitri, insomma tutto quel che si è letto sulle telefonate di Luciano Moggi & C. non vuole che vengano accostate al suo nome. Ne ha parlato una volta sola, sempre in quell’intervista su Rai3, e si capiva tutto il suo imbarazzo: «Provo amarezza, umiliazione, vergogna». Il suo non è il mondo di Moggi. «Quando lui andava in tv era quasi compiaciuto di essere descritto come una persona di potere. Vedendo certe trasmissioni anzi si aveva l’impressione che il conduttore fosse proprio Moggi. La cosa più triste è il tono generale, un senso di arroganza e impunità».
Questione di stile, e non solo. Da Presidente chissà quante ne ha viste e passate, compresa quella che l’ha portato all’inchiesta napoletana prima e al proscioglimento ieri. Certo che gli erano arrivate le doglianze di Claudio Lotito, presidente della Lazio. E certo che ha chiamato il designatore degli arbitri, era un suo dovere: ma non per combinare pastette, solo per assicurarsi che l’arbitro designato fosse il migliore possibile. Ed è andata proprio così, per il giudice Eduardo De Gregorio. Anche se per Carraro poco cambia: «Mi sono dimesso nel 2006, e per quel che mi riguarda sono stato troppi anni nel calcio...». |